i Giampietro Berti
L’ubicazione geografica di Bassano, insediamento urbano cresciuto sulla riva sinistra della Brenta, in un punto di confine tra la pianura e la montagna, ha determinato per molti secoli la sua eccezionale rilevanza strategica, e da un punto di vista militare e da un punto di vista economico: la città è stata un punto quasi obbligato di transito per i commerci e gli scambi tra la civiltà adriatica e il mondo austriaco e tedesco, e questo fattore ha indubbiamente favorito la sua crescita politica, economica e culturale.
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Il nome di Bassano trae origine da quello dell’originario proprietario di uno dei fondi in cui fu suddiviso l’agro bassanese in epoca romana: nel I secolo a.C., in seguito all’invasione dei Cimbri, i romani avviarono una grande opera di centuriazione delle terre poste ai margini della via Postumia, la lunga arteria di comunicazione che, collegando Genova a Treviso, attraversava anche il territorio vicentino.
Il Fundus Baxiani (di Bassius o Bassus) fu dunque uno dei grandi possedimenti che vennero a formarsi nell’ager baxianensis: esso trasmise il suo nome dall’agro all’insediamento abitativo, poi al borgo, infine alla città.
Se dell’epoca romana vanno almeno ricordate la cristianizzazione della popolazione e la diffusione di tecniche agricole che permisero di mettere sistematicamente a coltura le terre, della successiva dominazione longobarda (569-774) è opportuno menzionare la nascita di un tipo di organizzazione fondiaria, incentrata sulla piccola proprietà contadina, che caratterizzò sino all’età contemporanea l’assetto socioeconomico bassanese, sfavorendo per molti secoli la formazione di grandi latifondi.
Dal periodo longobardo sino all’inizio del dominio di Venezia trascorsero oltre otto secoli: un periodo, quello medievale, nel quale la città subì vicissitudini simili a quelle di molti piccoli centri italiani ed europei del tempo, dibattendosi cioè tra la vocazione all’autonomia e la necessità di stringere alleanze con organismi politico-militari più potenti; rapporti di subordinazione che, se da un lato limitavano la piena indipendenza e sovranità della città, dall’altro ne assicuravano la sopravvivenza e la garantivano da un servaggio integrale.
Poiché, data l’esiguità delle notizie pervenuteci, non è possibile soffermarci sul periodo di dominazione franca (777-888), conviene allora subito ricordare il fatto storico che determinò con ogni probabilità, intorno alla metà del X secolo, la costruzione del castello a protezione degli abitanti di Bassano; fortificazione che, insieme alla chiesa di S. Maria in Colle, costituisce la prima significativa espressione urbana di una città che, proprio nei secoli medievali, assumerà quella conformazione architettonica e urbanistica preservatasi sino ai nostri giorni.
A seguito delle incursioni operate dagli Ungari, gli abitanti di Bassano decisero dunque di erigere il castello: fatto significativo e da un punto di vista urbanistico e da un punto di vista politico, poiché la struttura non sorse commissionata da alcun potente, ma fu opera collettiva e spontanea della popolazione.
Il Comune di Bassano nacque cioè come espressione di una comunità di uomini liberi: sotto il profilo simbolico, questa origine libera suscitò nella popolazione un vivo sentimento di indipendenza, che le istituzioni cittadine si sforzarono di assecondare nei secoli successivi.
Nel 1175 Bassano strinse una alleanza, che si potrebbe definire insieme un pactum unionis e subiectionis, con Vicenza, che allora faceva parte della Lega Lombarda, a sua volta alleata con l’imperatore Federico Barbarossa.
Il sodalizio con Vicenza durò solamente una ventina d’anni, ma la sua importanza trascende la breve durata dell’accordo: fu proprio in questo periodo, infatti, che gli abitanti di Bassano e quelli di Angarano – uno dei borghi più antichi del territorio bassanese posto sulla riva destra del fiume Brenta, originato anch’esso da quella centuriazione romana del territorio che abbiamo inizialmente ricordato – decisero, spinti da ragioni economiche e militari, di costruire quel ponte che è divenuto il simbolo stesso della città e che le ha impresso la caratteristica di “città di frontiera”.
Più volte distrutto e sempre prontamente ricostruito, il ponte di Bassano deve la sua attuale configurazione al progetto del famoso architetto vicentino Andrea Palladio, sul cui modello, a partire dal 1569, fu sempre riedificato.
Nel 1194 Ezzelino II, detto il Monaco – nel 1223 si ritirò in monastero lasciando in eredità ai figli Alberico ed Ezzelino III la difficile gestione delle sue conquiste – occupò Bassano: data che segna la fine del primo breve periodo di alleanza con Vicenza e l’inizio del dominio della famiglia degli Ezzelini su Bassano e più in generale su larga parte del territorio veneto.
Una fase, quest’ultima, contraddistinta da un’aspra conflittualità militare, dovuta alla volontà espansionistica e ai desideri egemonici dei figli di Ezzelino II. Tra il 1223 e il 1240 Bassano fu soggetta all’autorità di Alberico, ma quando questi abbandonò il partito imperiale, Ezzelino III, la cui indubbia vocazione tirannica è stata enfatizzata oltre misura dagli storici filopapalini, sottrasse la città al fratello e la pose sotto il suo potere.
Il progetto di Ezzelino III, che potremmo definire protorinascimentale, di costruire uno Stato su basi regionali incontrò l’ostilità del papa Alessandro IV, la cui coalizione sconfisse definitivamente l’esercito di Ezzelino a Cassano d’Adda nel 1259.
Proprio di questo anno sono i primi statuti cittadini conservatisi: documento fondamentale più per capire la struttura politica e sociale della città che per le innovazioni giuridiche apportate, dal momento che gli statuta medievali erano perlopiù documenti volti a raccogliere le norme consuetudinarie stratificatesi nei secoli precedenti, che, nel caso di Bassano, riguardavano ormai molti secoli di vita associata e quasi un secolo di vita comunale.
Gli statuti del 1259 evidenziano in particolare la composizione del governo della città. Al vertice delle istituzioni era la figura del podestà, che rappresentava il potere politico coadiuvato, nell’esercizio di questa funzione, da quattro consoli, il cui incarico durava quattro mesi e veniva svolto a rotazione; podestà e consoli, poi, amministravano anche la giustizia penale, e presiedevano gli appelli delle cause civili, mentre la giustizia civile di primo grado era amministrata da due giudici. I consoli, infine, dirigevano la milizia cittadina preposta alla guardia della città.
Tra le istituzioni più tipiche dell’epoca erano anche i due consigli della cittadinanza, uno di cento e l’altro di quaranta membri, che affiancavano podestà e consoli nell’azione di governo, e l’arengo, l’assemblea degli abitanti che godevano dei diritti politici, che veniva convocata solo in casi di straordinaria rilevanza per la vita cittadina.
La struttura democratica e partecipativa del municipio bassanese, caratteristica del resto comune a molte città italiane nell’età comunale, era evidenziata anche dal fatto che gran parte delle cariche pubbliche erano di natura elettiva, e che tale elezione spettava ai consigli summenzionati; tuttavia, la partecipazione democratica della cittadinanza alle cariche politiche era di fatto riservata al ceto benestante e possidente, dal momento che per accedere agli uffici pubblici era richiesto il possesso di 200 lire di beni immobili, cifra considerevole per l’epoca: mentre dunque la struttura giuridica delle istituzioni era connotata in senso democratico, l’accesso alle stesse era regolato da norme censitarie che rendevano oligarchica la reale natura del potere politico bassanese.
Il Comune si faceva carico di pagare un medico, un chirurgo e un maestro, in modo da fornire una buona istruzione ai figli delle classi possidenti.
A questo proposito, occorre ricordare che al clero era impedito di organizzare una propria scuola e questa disposizione, insieme ad altri provvedimenti, contribuiva a connotare in un senso decisamente laico le istituzioni della città: come è dimostrato dalle disposizioni in materia religiosa dei successivi statuti (1268, 1295, 1389) questo spirito di laicità, quasi di subordinazione del clero alle istituzioni civili, andò progressivamente attenuandosi, a favore di un rapporto tra potere civile e potere religioso più favorevole a quest’ultimo.
Sotto un profilo urbanistico e territoriale, la città di Bassano era in quel tempo suddivisa in quattro quartieri: Santa Croce, Caser, Roveredo e Margnan; il borgo di Angarano, invece, rimase Comune indipendente sino al 1810.
Attorno alla metà del XIII secolo la popolazione cittadina è stimabile intorno alle 2500 unità: nei due secoli successivi, a causa soprattutto delle epidemie di peste, il numero degli abitanti aumentò di poche centinaia, mentre la crescita demografica, più consistente tra Cinquecento e Seicento, rese necessaria, nel XVII secolo, l’aggiunta di ulteriori quartieri.
Tra il 1259 e il 1320, salvo una breve parentesi segnata da un nuovo dominio di Vicenza, Bassano fu soggetta al potere di Padova, che nominava il podestà e più in generale ne determinava la politica militare.
Proprio in ottemperanza agli accordi militari, nel 1260 Bassano partecipò, a fianco di Padova e di un’ampia coalizione di città venete costituitasi per l’occasione, alla strage della famiglia dei da Romano, perpetrata dopo un assedio del castello, a S. Zenone: una delle pagine meno gloriose della storia bassanese.
Rivendicata da due contendenti, Padova e Vicenza, Bassano, dopo pochi anni, come insegna un proverbio popolare, finì invece sotto il dominio di un terzo: Verona. L’occasione fu data da una guerra mossa nel 1312 da Padova, e supportata da Bassano sua alleata, a Cangrande della Scala, le cui truppe erano giunte ad occupare Marostica e il borgo di Angarano.
Lo sforzo congiunto delle milizie padovane e bassanesi, che riconquistarono Angarano e attaccarono con successo Marostica, pur non riuscendo ad espugnarne il castello, riuscì solo momentaneamente a respingere la minaccia scaligera: dopo averlo scongiurato sul campo di battaglia, Bassano fu costretta a subire il dominio veronese a causa del tradimento di Enrico conte di Gorizia.
Questi infatti, su invito dei medesimi bassanesi, si era impegnato a proteggere la città: invece, la cedette proprio ai loro nemici, gli Scaligeri.
Nel 1339 Bassano tornò sotto Padova, che la coinvolse in altre operazioni militari, soprattutto rivolte contro Venezia. Furono anni difficili per la città, anche per le ondate di peste che, nella seconda metà del XIV secolo, falcidiarono ripetutamente la popolazione. La più devastante fu la prima, quella del 1348, che provocò la morte di due terzi degli abitanti di Bassano, la cui popolazione, in quegli anni, non doveva superare i tremila abitanti.
Dal 1388 al 1404 Bassano fu soggetta al dominio milanese dei Visconti, che si caratterizzò per una nuova revisione, in un senso ancora più favorevole al potere aristocratico, degli statuti comunali, per i lavori di rafforzamento delle mura di cinta e per il velleitario progetto di Gian Galeazzo, il quale, valendosi del lavoro di molte migliaia di operai, cercò infruttuosamente di far deviare la Brenta per infliggere un colpo mortale alla rivale Padova.
Le lotte turbinose che avevano caratterizzato per oltre due secoli la storia bassanese finirono quasi completamente con il passaggio della città alla Repubblica di Venezia. Come i precedenti dominatori, i veneziani imposero un accordo in base al quale si impegnavano a difendere la città, a ratificare e a rispettare gli statuti, garantendo dunque alcune prerogative di autonomia, in cambio della rinuncia di Bassano alla piena sovranità. Il podestà fu sostituito da un rettore, nominato da Venezia, il quale assommava su di sé sia il potere politico che quello militare.
Nel governo sulla città, in base al nuovo statuto visconteo accettato dai veneziani, egli era affiancato da due consigli: il primo, erede del consiglio dei cento, era ridotto a trentadue membri; il secondo, che aveva preso il posto di quello dei quaranta, era composto da due giudici, quattro consoli e due sindaci, e aveva il compito di rendere operativa la politica comunale sul piano politico, amministrativo e giudiziario.
L’aristocraticizzazione della vita politica bassanese trovò in Venezia una intransigente sostenitrice: la città lagunare, tra il XV e il XVIII secolo si oppose duramente ad ogni tentativo di ri-democraticizzare il potere politico cittadino e di coinvolgere, nell’esercizio delle funzioni di governo della città, la classe borghese e artigiana.
Sotto la dominazione di Venezia, tuttavia, Bassano fu al centro di una importante crescita culturale ed economica: due elementi che, nella storia della città, progredirono in molti casi in stretta simbiosi.
Tra il XVI e il XVIII secolo, infatti, lo sviluppo dell’arte e dell’artigianato nel comprensorio bassanese è legato alla produzione di stampe e alla ceramica. La stamperia Remondini raggiunse l’acme della produzione nella seconda metà del XVIII secolo, divenendo la più grande stamperia d’Europa: essa seppe mettere a frutto il lavoro di ottimi incisori e stampatori, specializzandosi sia nella stampa tipografica di libri ed opuscoli che in quella calcografica.
La produzione di ceramiche, invece, ebbe un vigoroso sviluppo in età barocca, nel XVII secolo, sebbene sin dalla preistoria, sulla destra della Brenta, in particolare nella zone delle colline di San Giorgio, dove numerosi sono i giacimenti di argilla, sono testimoniate attività concernenti la produzione di materiale in terracotta.
Fu comunque nel Seicento che si sviluppò la produzione della ceramica bassanese vera e propria: prima in Angarano, poi nel vicino paese di Nove con le manifatture Antonibon, Cecchetto, Viero, Bernardi, e, tra Otto e Novecento, Marcon, Bonato, Passarin, Fabris, Zortea, Agostinelli e Dal Prà, Zanolli-Sebellin-Zarpellon, Zen.
Da un punto di vista più prettamente artistico, è necessario quantomeno ricordare che nel XVI secolo, grazie soprattutto alla bottega della famiglia Da Ponte, il cui più illustre esponente, Jacopo detto il Bassano, è considerato pittore di livello internazionale, anche nella pittura Bassano raggiunse vertici notevoli per una città medio-piccola; ed anche nei secoli successivi, con lo scultore Orazio Marinali, gli architetti Antonio Gaidon e Giovanni Miazzi, e il pittore Antonio Marinoni, solo per citare i nomi più illustri, i bassanesi diedero un significativo contributo allo sviluppo delle arti.
Sotto un profilo più squisitamente culturale, invece, è nella seconda metà del XVIII secolo che la città raggiunse il suo apice, trovandosi contemporaneamente ad operare tre personalità di tutto rilievo: lo storico Giambattista Verci, il gesuita Giambattista Roberti, il naturalista Giambattista Brocchi. Essi, nella loro sia pure moderata apertura alle idee dell’illuminismo – che nel giovanissimo Brocchi, poi, così moderata non era – seppero introdurre nella città fermenti di rinnovamento culturale davvero europei.
Nei secoli di dominio veneziano, la tradizionale attività agricola fu perfezionata: alle produzioni antiche (vino, olio, frumento, avena) se ne aggiunsero delle nuove (il mais, per esempio, a partire dal XVI secolo).
L’aumento demografico dei secoli XVII-XVIII, dovuto anche alla fine delle epidemie di peste che avevano duramente colpito la città anche all’inizio dell’età moderna (particolarmente gravi furono quelle del 1578 e del 1631; quest’ultima provocò la morte di circa 3000 persone), determinò un aumento della domanda dei cereali; questo, a sua volta, causò una progressiva diminuzione delle terre destinate al pascolo e delle aree destinate al foraggio, ed a questa sequenza deve essere infine addebitata la decadenza ottocentesca dell’agricoltura bassanese.
A partire dal XV secolo, anche a Bassano cominciano a svilupparsi attività di carattere manifatturiero. La produzione della seta, che raggiunse il suo vertice nel XVII secolo, per decadere nel successivo e spegnersi nel XX, e quella della lana, florida soprattutto nel XVII secolo: entrambe trassero giovamento dalla forza idrica della Brenta, la quale, otre agli opifici, alimentava anche i laboratori di concia delle pelli e i mulini addetti alla macina del grano.
Una sua importante tradizione ebbe anche la lavorazione dei metalli: ferro, rame e, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, bronzo; da quest’ultima, in particolare, prese avvio una caratteristica forma di artigianato locale, legato alla produzione delle campane.
Naturalmente, in questa sintetica rassegna delle attività economiche, non va dimenticata l’importanza del commercio, che, proprio per la strategica posizione geografica della città, fu sempre fiorente, come attestato dalle numerose fiere e mercati che si svolgevano a Bassano.
L’ultimo secolo di dominazione veneziana è contrassegnato anche da un importante aumento della popolazione cittadina: mentre infatti tra il 1589 e il 1669, soprattutto per le epidemie di peste sopra ricordate, gli abitanti di Bassano aumentarono solo di poche centinaia di unità (da 5300 a 6000 circa), tra il 1669 e il 1760 le stime parlano di aumento della popolazione di oltre 2000 individui (da 6000 a 8600 abitanti).
Un trend che proseguirà anche nel secolo successivo (nel 1843 gli abitanti stimati sono 11600), e raggiungerà il suo culmine nel XX secolo in cui la popolazione bassanese raddoppia, passando da 15443 abitanti nel 1901 a 35129 nel 1971, per attestarsi, negli ultimi 30 anni, attorno alle 40000 unità.
Nel 1797 le truppe napoleoniche posero fine alla gloriosa storia della Repubblica veneziana: furono per Bassano e il circondario anni convulsi, segnati dalle speranze rivoluzionarie che avevano contagiato una parte minoritaria, ma politicamente determinante, della popolazione: l’elite aristocratica e borghese, soprattutto gli uomini di cultura, i quali, nel loro afflato cosmopolita e pre-risorgimentale, sognavano l’indipendenza politica della municipalità bassanese e del Veneto intero, addirittura l’unione delle città e delle regioni del nord Italia.
Quella democratica, però, si dimostrò in questo frangente una utopia irrealizzabile: la Municipalità bassanese fu costretta, come le altre Municipalità create dai francesi, a divenire un organo svuotato del reale potere politico, uno strumento utile all’esercito transalpino ad imporre un ferreo dominio mascherato appunto attraverso un organo di autogoverno rivoluzionario e democratico.
La Municipalità bassanese, per questi motivi e per le continue vessazioni imposte dalle truppe francesi al contado nel territorio circostante, non riuscì a conquistarsi una legittimazione e un consenso popolari.
La pace di Campoformio segnò per Bassano l’inizio della dominazione austriaca, durata ben sessantadue anni: ma tra il 1806 e il 1813, Bassano fu annessa al regno italico, tornando così, sia pure momentaneamente, sotto l’orbita francese. In questo periodo il territorio bassanese fu spesso investito dalle azioni belliche che vedevano contrapporsi l’esercito napoleonico a quello austriaco e frequentemente sottoposto alle conseguenti violenze che le truppe dell’uno e dell’altro schieramento perpetravano sulla popolazione: non è un caso, perciò, che il definitivo passaggio di Bassano all’autorità dell’impero asburgico venne salutato con moderata soddisfazione da parte dei bassanesi, desiderosi in primo luogo di un po’ di pace.
Una esigenza, quest’ultima, che il governo austriaco seppe sufficientemente soddisfare, ottenendo il consenso dei bassanesi alle sue istituzioni.
La natura del governo cittadino rimase in questi anni aristocratica e alto-borghese, mentre alcune modificazioni formali riguardarono la struttura politico-amministrativa: come stabilito dalle leggi austriache, la Congregazione Municipale era composta da un podestà, quattro assessori e un consiglio comunale formato da 36 membri.
La vita politica e culturale nell’età della Restaurazione si svolse a Bassano in un senso assai statico: pochi furono gli avvenimenti degni di menzione e di straordinaria rilevanza per lo sviluppo della città.
Tra essi, giova ricordare la nascita di istituti caritatevoli e la fondazione del Gabinetto di Lettura e dell’Ateneo, importanti centri di attività intellettuale.
Sotto il profilo della composizione delle classi sociali la società bassanese fu pressoché immobile, così come lenta la crescita economica, dal momento che non vi fu uno sviluppo capitalistico delle campagne: la distribuzione della proprietà fondiaria rimase la stessa del periodo precedente, con poco più di metà delle terre possedute dalla classe nobiliare, e tutte le altre classi a spartirsi il resto in piccoli e piccolissimi appezzamenti. La classe più potente era perciò quella dei nobili e dei proprietari terrieri, e tale rimase anche per alcuni decenni dopo la fine del dominio austriaco, mentre il contratto più diffuso nelle campagne, tra proprietari e contadini, era la mezzadria: solo nel primo dopoguerra iniziarono a diffondersi rapporti di natura diversa, come le piccole affittanze.
Il vero cambiamento, invece, avvenne proprio in questi anni nel settore manifatturiero: ma fu un cambiamento di segno negativo, giacché il territorio bassanese fu al centro di un deciso regresso industriale rispetto al Settecento, testimoniato, per esempio, negli anni 1820-50, dal dimezzamento dei dipendenti nei settori manifatturieri.
Di contro, i settori del commercio e dell’artigianato furono protagonisti di una progressiva crescita: si diffuse capillarmente la piccola impresa, fondata su pochi, pochissimi dipendenti.
L’unico momento di vera effervescenza politica in questi anni fu costituito dai moti del 1848: si trattò, comunque, di una semplice fiammata, perché insignificanti furono gli sporadici episodi di ribellione antiaustriaca dei due anni seguenti.
La vita politica cittadina, dopo secoli di sostanziale apatia, riprese con pieno vigore dal momento in cui, nel 1866, Bassano fu annessa al Regno d’Italia. In sintesi, si può affermare che, sino alla Prima Guerra mondiale, il liberalismo monarchico, cattolico e moderato dominò pressoché incontrastato: il non expedit di Pio IX impedì anche a Bassano la nascita di una specifica organizzazione politica dei cattolici.
Essa avrebbe ottenuto senza dubbio la maggioranza assoluta, considerando il fatto che la città era profondamente allineata sulle posizioni della Chiesa. Il divieto papale ebbe perciò l’effetto inintenzionale, anche nella città del Grappa, di far confluire gli esponenti più aperti del cattolicesimo verso il liberalismo, al quale impressero un connotato moderato; e di limitare entro un alveo culturale l’azione del clericalismo reazionario conservatore, che pure a Bassano contava personalità rappresentative e un notevole seguito popolare. Quasi tutte le organizzazioni sociali, solidaristiche e ricreative furono di stampo cattolico.
Il socialismo, anche per la mancanza di una consistente classe operaia, non riuscì a conquistare, sino all’età giolittiana, un seguito significativo, ed anche negli anni a cavallo tra le due guerre rimase un movimento minoritario.
Le masse rurali, profondamente e devotamente cattoliche, furono estranee ancora per decenni alla partecipazione politica vera e propria. Più in generale, le condizioni delle classi popolari furono contrassegnate da una estrema povertà: di qui la forte emigrazione, soprattutto verso il Sud America, che caratterizzò il comprensorio bassanese negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento.
Proprio all’inizio del secolo, però, sorsero le prime realtà industriali e si verificò un risveglio economico che fu accompagnato, su un piano culturale, da una progressiva alfabetizzazione delle masse contadine e dei ceti artigiani ed operai.
L’evento che segnò in maniera indelebile la storia del Novecento bassanese fu comunque la Prima Guerra mondiale, e soprattutto il 1917, anno in cui la città si trovò a ridosso del fronte, come conseguenza dell’offensiva austriaca iniziata un anno prima che aveva causato un arretramento delle linee italiane fino ai lembi del versante sud dell’Altopiano di Asiago e sul Grappa.
L’eroica difesa da parte delle truppe italiane di queste posizioni e la stoica resistenza della città, ripetutamente sottoposta al bombardamento dell’artiglieria austriaca, fece subito nascere il mito del Grappa, un mito che si consolidò a tal punto negli anni successivi da portare le istituzioni municipali a richiedere – e ottenere – nel 1928 di chiamare la città Bassano del Grappa.
Il periodo fra le due guerre segnò a Bassano il successo del Partito Popolare, la crescita del Partito Socialista, la nascita di quello Comunista e il ristagno del liberalismo cittadino: proseguirono cioè tendenze che si erano manifestate già negli anni precedenti lo scoppio del conflitto bellico.
Il carattere moderato dello spirito politico cittadino è ben esemplificato dallo scarso seguito che il fascismo ottenne in città: negli anni del regime, pur non manifestandosi alcuna opposizione politica di rilievo, gli abitanti di Bassano subirono, più che esserne protagonisti, il tentativo di fascistizzazione della società, e il fascismo ottenne, anche negli anni ’30, un consenso poco più che passivo.
La resistenza partigiana, sviluppasi nelle montagne a partire dal 1943, dette motivo di alimentare nuovamente il mito del Grappa: ciò avvenne come conseguenza del rastrellamento della montagna, dove si erano concentrate molte formazioni della guerriglia partigiana, operato dalle truppe nazifasciste il 20 e il 21 settembre 1944.
L’operazione, condotta con ferocia inaudita, portò al massacro di circa 500 persone. Gli ultimi sussulti della barbarie nazifascista si ebbero tra il 24 e il 26 settembre, e l’episodio più emblematico di questa repressione è costituto dall’impiccagione di 31 giovani in viale Venezia e in via XX Settembre: i corpi, su cui infierirono alcuni fascisti bassanesi, rimasero appesi per venti ore.
Restaurata la democrazia, nel secondo dopoguerra due episodi hanno contrassegnato la vita politica, sociale ed economica bassanese: l’egemonia politica del partito dei cattolici, la Democrazia Cristiana, e una grande trasformazione socio-industriale, sintetizzabile in uno straordinario sviluppo industriale e commerciale, generatore, a partire dagli anni ’60, di un benessere economico mai prima neppure lontanamente raggiunto.