di Giambattista VincoDaSesso
Viene spontaneo, osservando questa veduta, il ricordo di quella secentesca attribuita al Valesio e riguardante il monastero di San Fortunato. Tuttavia l’antico disegnatore non era mosso da intento rigorosamente documentario, mentre Albanello sa conciliare verità e poesia. Del complesso monastico benedettino, oggi di proprietà privata, la parte più antica è quella del chiostro, costruito nel corso del Quattrocento, accanto al quale tra la fine di quel secolo e l’inizio del Cinquecento venne edificata la chiesetta, affrescata all’interno nel 1501 da Francesco Nasocchi. La cuspide del campanile è quella ricostruita dopo il rovinoso terremoto del 1695. Risale alla fine del Cinquecento l’ampia barchessa con la stalla, la cantina e il magazzino, dove venivano depositati i prodotti della vasta campagna appartenente al monastero, che dipendeva dall’abbazia padovana di Santa Giustina.
Fino ad una quarantina d’anni fa, alla barchessa si addossava una grande torre colombara di cui resta l’ímmagine nella veduta attribuita al Valesio. Il complesso quattro-cinquecentesco sorse probabilmente su uno più piccolo preesistente, nel quale durante il Trecento abitarono le Terziarie Umiliate Benedettine, che assistevano i malati del vicino lebbrosario, situato dove alla fine del Quattrocento si collocò il Lazzaretto per gli appestati. La Brenta, sappiamo, costituiva una grande fonte di energia motrice.
Lungo le sue rive, qui ricoperte da rigogliosa vegetazione, un tempo erano attivi numerosi molini, tra cui quello dei monaci, che disponevano di una loro rosta. Ma il fiume era prezioso anche per l’irrigazione delle terre. Sulla riva sinistra è ben visibile la rosta Rosà, fatta scavare intorno al 1365 da Francesco 1 da Carrara – allora signore anche di Bassano – per irrigare con un sistema di roste minori l’ampia distesa di campi e prati del Bassanese. Tale rete idrica, potenziata all’epoca della Serenissima, è tuttora attiva e benefica. Il corso del fiume appare qui impoverito perché parte della sue acque viene appunto sottratta dalla rosta Rosà. In alto la Brenta è superato dal Ponte della Vittoria, comunemente detto Ponte Nuovo.
Quando il Consiglio comunale, il 28 dicembre 1913, ne approvò la costruzione, nessuno poteva prevedere quanto utile sarebbe stata la nuova opera nella guerra che due anni dopo sarebbe scoppiata. Con le due arcate di metri 62.50 ciascuna, il ponte rappresentava per quel tempo una delle più ardite realizzazioni in cemento armato. La sua importanza strategica venne riconosciuta, dopo l’offensiva austriaca del 1916, dal Genio militare, che intervenne per renderlo idoneo al traffico ferroviario.
Fu allora rinforzata tutta la soletta stradale, essendo stata prevista in origine per il solo passaggio di carriaggi e della tranvia che collegava Bassano con Vicenza. Il I maggio del 1917 il ponte veniva inaugurato e, come auspicio per un esito fortunato della guerra in corso, battezzato “della Vittoria”. Sullo sfondo, la veduta offre una insolita panoramica del centro storico visto da sud.