Rovigo nelle immagini e nei testi
di Adriano Mazzetti
Alcuni genii bizzarri considerano la città di Rovigo poveretta e piccola e poco abitata, opinione che non è né punto vera né punto falsa.
Così nel settembre 1740 scriveva Johann Caspar Goethe, in occasione della visita alla città nel corso di un viaggio erudito in Italia.
Il giudizio si presta a molteplici riflessioni, soprattutto è indice di una considerazione dei forestieri e di una coscienza dei locali che nel tempo non è cambiata.
Ma la frase di Goethe (che richiama descrizioni di Rovigo di altri letterati europei, da Michel de Montaigne a Johann Gottfried Seume) costituisce anche un richiamo al ruolo degli abitanti del capoluogo del Polesine sollecitati a rendere la città sempre più accogliente, vivace, ricca di risorse, indipendentemente da giudizi e pregiudizi di persone residenti in aree e centri storicamente e geograficamente più interessanti.
Qualcuno nel Settecento rifiutava addirittura il titolo di città a Rovigo e questo destò amarezza e irritazione nell’aristocrazia locale che rispose con la penna del conte Carlo Silvestri attraverso la Lettera informativa circa la vera condizione della città di Rovigo edita a Venezia nel 1734 negli opuscoli della Raccolta Calogerà da Cristoforo Zane e ripubblicata a Rovigo nel 1735 dallo stampatore Miazzi.
Si tratta di una accorata, erudita difesa di Rovigo e della sue prerogative di città che pone in risalto la storia del centro padano, i personaggi famosi che ivi sono nati, il ruolo amministrativo e civile ricoperto dalla città soprattutto nel corso della dominazione veneziana.
Ma, tralasciando la produzione storico-letteraria che per Rovigo ha come primo protagonista Andrea Nicolio autore dell’Historia dell’origine et antichità di Rovigo (Brescia 1582), è interessante verificare il modo con il quale nel corso dei secoli artisti, grafici, eruditi con attitudini al disegno, ingegneri, tecnici hanno colto e raffigurato la città.
Infatti allorché queste persone delineano l’immagine di una città attivano con la stessa una relazione che di volta in volta assume le tonalità di affetto, di simpatia, di curiosità, di staccata ed indifferente indagine estetica o documentaria.
Questo castello di Ruigo ovvero rocha è forte, con spalti et torre per contorni, qual bisogna a una rocha; con fosse larghe, bene adacquate, con una torre sopra el ponte molto grande…. Così scriveva nel 1483 Marin Sanudo nell’Itinerario per la Terraferma Veneziana.
Nell’opera vengono presentati, accanto ad altri della Repubblica, vari centri del Polesine colti negli anni difficili della guerra di Ferrara (1482-1484) conclusasi con il passaggio definitivo di Rovigo e di gran parte del territorio a nord del Po dal dominio estense a quello veneziano.
Tra gli schizzi redatti dal Sanudo a corredo del suo diario figura proprio il castello di Rovigo, primo e fondamentale riferimento per la città e simbolo della stessa.
Analoga impressione ricaviamo dall’osservazione dell’elegante marmo oggi murato al civico 177 del Corso del Popolo, ove Rovigo è simbolicamente rappresentata dalla fortezza del castello offerta dal patrono S. Bellino alla Madonna.
La scultura, che risale al 1587, era collocata su un pilastro del ponte sull’Adigetto denominato Ponte del sale situato lungo il percorso da Piazza grande (attuale piazza Vittorio Emanuele II) al Duomo, ponte che univa i due storici quartieri della città, quello di S. Stefano e quello di S. Giustina.
Sempre il castello, elemento centrale dello stemma della città, si trova scolpito in un pregevole bassorilievo ligneo del 1618 attribuito a Giovanni Caracchio, vi-sibile nel salone d’onore del Municipio di Rovigo.
La struttura è affiancata, quasi sostenuta dalle figure dei due santi protettori della città, s. Francesco e s. Bellino.
La devozione a s. Bellino era stata oggetto, nel primo decennio del Seicento, di una vivace disputa tra esponenti culturali rodigini e ferraresi.
I primi proponevano la traslazione delle reliquie del martire dal piccolo centro di S. Bellino al duomo di Rovigo mentre i ferraresi capeggiati da Battista Guarini, l’autore del Pastor Fido, decisamente si opponevano.
Nonostante l’impegno di Giovanni e Baldassare Bonifacio, di ecclesiastici e uomini di cultura, la città non riuscì ad impadronirsi delle preziose reliquie che ancor oggi si venerano a S. Bellino.
La disputa e il tentativo di rendere illustre la città con testimonianze capaci di attirare fedeli e garantire fama costituiscono un episodio nel costante impegno di Rovigo, avviato sin dall’arrivo dei veneziani alla fine del Quattrocento, di dotarsi di istituzioni, strutture, edifici di valore, opere d’arte, centri religiosi ed attività sociali adeguati al ruolo di “capitale” del Polesine, alla stregua delle maggiori città della terraferma veneziana.
Negli ultimi anni del Quattrocento e nel corso del Cinquecento il Magnifico Consiglio definisce i propri poteri e i criteri di aggregazione, nello stesso periodo prende l’avvio il Monte di Pietà, si riorganizza l’Ospedale di S. Maria della Misericordia, viene fondato il Seminario vescovile, importante riferimento culturale della Chiesa post-tridentina, sorgono le Accademie, vengono edificati nuovi edifici come palazzo Roncale, si stabiliscono in città importanti congregazioni ed ordini religiosi: gli Olivetani, i Domenicani, gli Agostiniani, i Cappuccini, mentre le Agosti-niane danno vita al Monastero della Trinità.
L’episodio più rilevante di questa ricerca di uno stile urbano dignitoso sarà a fine Cinquecento la costruzione della chiesa della Madonna del Soccorso detta “la Rotonda”, che costituirà da allora costante e prioritario riferimento religioso e civile.
Il tempio nel corso del Seicento verrà abbellito con teleri affidati ai grandi artisti del tempo che vi illustrano momenti della storia della Salvezza e tramandano le opere dei podestà veneziani. In alcune di queste tele appaiono scorci della città e dei suoi luoghi più significativi.
Nella Glorificazione del podestà Benedetto Zorzi si scorge il castello di Rovigo con la caratteristica torre, a poca distanza da un fiume solcato da diverse imbarcazioni; nell’opera delineata da Antonio Randa in onore del podestà Pietro Morosini sono pure evidenti il castello e le torri.
Nel quadro di Andrea Celesti dedicato al podestà Giovanni Giustiniani un paggio regge un vassoio sul quale è posto il modello della città.
Certamente la piccola raffigurazione proposta dal Celesti è poco più che simbolica ma chiese, campanili, torri e mura offrono l’immagine di una struttura urbana ben definita e dignitosa.
Una visione sintetica e complessiva della città si trova pure in altri dipinti del Cinque-Seicento. Si tratta dell’affresco, ormai quasi illeggibile, collocato sulla facciata di palazzo Rosetta Ferrari e dell’opera di Gerolamo Bassano S. Bellino con due regolatori realizzato per la chiesa di S. Michele.
In entrambe le raffigurazioni Rovigo appare cinta da mura, compatta per la folta presenza di edifici civili, campanili, chiese, torri, quasi una idea di città che almeno in qualche segmento aveva riferimento con la Rovigo veneta del Cinque-Seicento.
È la stessa immagine di città che viene offerta dai letterati del tempo.
Tra questi un ruolo di prioritaria importanza riveste Baldassare Bonifacio, erudito vissuto tra il 1585 e il 1659, attento viaggiatore nelle corti di Roma e d’Europa, nominato nel 1653 vescovo di Capodi-stria.
Egli nella descrizione dei suoi viaggi in più pagine si sofferma su Rovigo.
In particolare ne descrive l’impatto fisico: Questa città, cinta di mura antiche, circonvallata con doppie fosse, distinta ordinatamente in vie larghe e diritte, pavimentata di mattoni, ornata di ben construtti edificii, lieta, aerosa e monda in ogni sua parte, viene irrigata da fiume navigabile, l’uno de’ due maggiori d’Italia che all’Abbadia si dirama, formando una corda all’arco suo proprio e bagnando la terra di Lendinara e, segando quasi pel mezo la città di Rovigo, per venticinque miglia di strada si ricongiunge con se medesimo poco lunge dalla terra di Cavargine e si scarica poscia nel mare a Fossone.
Si sofferma però il Bonifacio anche sulle istituzioni, gli edifici sacri, la vita civile ed economica della città interpretando quasi il vanto degli abitanti del piccolo centro periferico della Serenissima:
Vi sono i palazzi episcopale e pretorio, l’uno oltra l’Adige, l’altro di qua dal fiume, commodi e capacissimi d’ogni numerosa famiglia; èvi il Palazzo della Ragione, la Sala del consiglio, il Monte della pietà, lo Spedale de’ poveri e l’Ospizio degl’orfani, il Collegio de’ dottori e quello de’ notari, il Seminario de’ chierici, la Badia di San Bartolomeo degli Olivetani, la Commenda di San Giovanni de’ cavalieri ierosolimitani ed altri sei conventi di religiosi e due munisteri di donne, una piazza delle più belle e più spaziose che siano in tutto il dominio de’ Viniziani, ove fassi ogni anno una fiera franca famosa per tutta Italia, copiosissima di cavalli, di buoi, di panni e di tutte le merci.
Ancora il futuro vescovo di Capodi-stria dedica varie righe alla chiesa della B.V. del Soccorso, alla cui realizzazione contribuirono il clima post-tridentino e la sensibilità della classe dirigente rodigina.
Per la costruzione del tempio, anche in considerazione della ristretta economia locale fu necessaria una modifica della cinta urbana.
Vennero infatti demolite diverse torri i cui materiali furono utilizzati per consentire l’erezione dell’edificio sacro e la sistemazione del terreno solcato dai grandi fossati difensivi.
E il Bonifacio si sofferma su questo intervento che riduce la struttura militare e cambia l’immagine stessa della città ove rimasero, tra le tante, solo quattro torri di considerevole mole: furono distrutte, a fine di profittarsi della materia, sedeci torri, che con egual compasso per li quattro lati delle mura che cingono la città si trovavano scompartite… Piacque nondimeno al popolo rodi-gino che… quattro torri lasciassero in piedi: la grande ed eccelsa del castello, le due che stanno sopra le porte di San Giovanni e d’Arquà, l’ultima che con eguale interstizio tra le porte di Sant’Agostino e di San Bartolomeo si trameza.
L’immagine che le piante dell’epoca ci tramandano rimane però quella di un centro storico ben fortificato, nonostante le demolizioni, reso sicuro da mura, castello e torri, con limitati accessi dai borghi circostanti.
È significativa al riguardo la mappa del 29 settembre 1667 nella quale la struttura muraria appare compatta, circondata da fossati con acqua e da contrafforti. Le porte (Porta de San Bortolomeo, Porta de S. Francesco, Porta de San Zanne, Portelo, Porta d’Arquà) sono pure poste in evidenza ed anchei ponti che in prossimità delle porte, nel centro cittadino e fuori dalla porta di S. Bartolomeo collegano le due sponde dell’Adigetto.
All’interno delle mura sono riportate con fedeltà e facilmente riconoscibili le strade e i piazzali. Poche le indicazioni manoscritte dei luoghi e degli edifici, soprattutto chiese. Tra i punti di interesse evidenziati dalla mappa ricordiamo: La Piaza, chiamata in seguito piazza dei Signori o piazza Grande; Piazetta, era lo spazio davanti all’antica Chiesa di S. Giustina (chiesa e piazzetta ora formano Piazza Garibaldi), poco lontano sorgeva Il Palazzo, sede del Podestà veneziano, verso porta S. Bartolomeo il Gheto mentre dall’altra parte dell’Adigetto troviamo l’Hospitale.
Predominano le indicazioni delle chiese: a destra del fiume il duomo di San Steffano e nel piazzale antistante la giesiola, l’antico battistero ove venivano battezzati tutti i fedeli della città, a sinistra dell’Adigetto San Rocho, San Gioseffe nell’attuale via Celio, poco lontano la parrocchiale di S. Giustina e più oltre, presso il Gheto, la chiesa di S. Antonio Abate (detta di S. Domenico), mentre verso la porta di S. Francesco troviamo l’omonima chiesa e convento dei Frati Minori, affiancati dalla chiesetta de la Concezion.
Nella stesso settore della città, infine, si incontra il tempio della B.V. del Soccorso chiamato nella mappa semplicemente la Madona, l’unico centro religioso delineato mentre in alto la denominazione le suore richiama il monastero femminile della Trinità.
Ci siamo soffermati a lungo su questa mappa, redatta in maniera estremamente precisa anche perché pensiamo che ad essa o a piante simili realizzate nel corso del Seicento si siano riferiti quanti nello stesso secolo e nel successivo hanno deli-neato il centro di Rovigo, magari ponendo più attenzione alle costruzioni civili o ai borghi.
Inoltre la mappa 1667 rappresenta una prima descrizione della città con i luoghi deputati ed i riferimenti devozio-nali che tante altre raffigurazioni riprenderanno soprattutto nel Settecento e la sua ideale proiezione prospettica molto si sarebbe avvicinata alla rete di campanili e torri evidenziata dalle pitture di Casa Foligno e di Gerolamo Bassano.
Nelle rappresentazioni della città assumono collocazione prioritaria le incisioni in rame che dalle fine del Seicento hanno colto ed offerto prospetti e imma-gini diverse della Rovigo veneta e che co-stituiscono ancor oggi prioritario e godibile riferimento per la struttura urbana, gli edifici, le strade, le mura, i corsi d’acqua.
Ci riferiamo soprattutto alla splendida veduta di Rovigo pubblicata ad Am-sterdam da Pierre Mortier nel 1704, inserita nel Nouveau Théatre d’Italie (vol. I, tav. XXXII).
Molto si è scritto su quest’opera che anche nell’intestazione, adottando come era in uso sia il latino che il francese (RHODIGIUM vulgo ROVIGO. Ville de l’Etat de Venise / Capitale de la Polesine de Rovigo) evidenzia una destinazione diversa dalle mappe precedenti.
Più che per i rodigini la veduta era destinata ad un pubblico colto di altre città e regioni d’Europa offrendo a chi era interessato ad essa una immagine definita, una idea di città ordinata e consolidata all’interno delle mura, caratterizzata proprio dalla cinta muraria, dal castello e dal fiume.
Per la precisione e la chiarezza che la distinguono la pianta del Mortier è divenuta riferimento obbligato per gli studi urbanistici sulla città.
Il disegno pone infatti in evidenza i centri religiosi, le piazze, le porte, gli ospedali e le Istituzioni assistenziali.
Forte accento è posto nel segnare le mura e le fosse che circondano la città, la possente rocca difensiva del castello come pure l’Adigetto, che è solcato dai quattro ponti, ben evidenziati.
All’esterno delle mura i due borghi di San Bartolomeo e di San Giovanni e in alto (cioè ad est della città), alla convergenza di tre stradoni alberati, la piccola chiesa-santuario della Madonna dei Sabbioni.
L’indice dei luoghi notabili (numerorum explicatio) con 36 riferimenti risente della definizione della carta in ambiente culturale francese per alcune contaminazioni linguistiche.
Caratteristiche simili alla stampa del Mortier, con alcune attenuazioni e soprattutto con un più modulato inserimento nella campagna circostante, troviamo nella incisione su Rovigo di Francesco Zucchi realizzata nel 1751 per l’opera di Tommaso Salmon Lo stato presente di tutti i paesi e i popoli… edita a Venezia da Giovanni Battista Albrizzi.
In calce alla veduta si legge: La città di Rovigo Capitale della Provincia del Polesine nel Dominio Veneto.
L’incisione è inserita nel tomo XIX dell’opera, nel paragrafo VIII dedicato al Polesine di Rovigo e comprendente la descrizione del territorio polesano e dei fiumi che lo attraversano, in particolare l’Adige.
Seguono cenni sui maggiori centri polesani, Rovigo, Adria, Lendinara e Badia ed infine un documentato Compendio della Istoria di Rovigo.
Le pagine del Salmon richiamano la felice stagione culturale vissuta da Rovigo nel Settecento che ha avuto riflessi consi-derevoli nella vita sociale e civile della città situata al centro di un territorio difficile per i problemi idraulici e per l’incerto confine tra la Serenissima e lo stato pontificio.
Fulcro di questo dinamismo erudito locale e riferimento per studiosi e letterati del tempo provenienti dall’Italia e dall’estero era il palazzo quattrocentesco della famiglia Silvestri in contrada S. Francesco soprattutto negli anni del conte Camillo, del figlio Carlo e del figlio di questi, il canonico Girolano Silvestri, tutti appassionati collezionisti, letterati e cultori di storia patria. Sarà proprio Carlo Silvestri che nel 1740 accompagnerà il padre di Goethe nella visita a Rovigo alla quale abbiamo accennato all’inizio di questo contributo. L’incontro tra i due personaggi avviene presso la Rotonda.
Narra Johann Caspar Goethe: Nell’uscir di questo tempio un personaggio onorato mi parlò sotto la cappa del cielo, offrendosi al mio servizio, mentre io esaminavo con esattezza le bagatelle della sua patria.
Nelle stesse pagine Johann Caspar si sofferma su chiese, piazze, monumenti della città e sulle raccolte artistiche dei Silvestri.
Non molti anni più tardi Gianrinaldo Carli di Capodistria soggiornerà a lungo a Rovigo presso nobili famiglie della città e sarà più volte ospite del canonico Girolamo Silvestri per ammirare le raccolte artistiche e soprattutto per consultare la considerevole e preziosa libreria che supererà negli anni Ottanta i trentamila volumi.
Diversi esponenti della cultura rodigina frequentavano abitualmente le sale dei Silvestri.
Qui studiavano, discutevano, leggevano le Gazzette, coltivavano rapporti con studiosi di altre città italiane e straniere. Questi personaggi operavano a favore della città e del Polesine soprattutto attraverso l’antica Accademia dei Concordi ove si svolgevano letture due volte la settimana e dove proprio su stimolo di Girolamo Silvestri sorge a metà Settecento, con l’assenso della Repubblica Veneta, una sezione agraria per lo sviluppo dei temi scientifici, agrari, storici relativi soprattutto al territorio polesano.
Tra i frequentatori abituali di Casa Silvestri incontriamo il Canonico Pietro Bertaglia, Cristina Roccati, Giovacchino Masatto e soprattutto Marco Antonio Campagnella. Questi, vissuto tra il 1703 e il 1783, è autore di molteplici contributi, in gran parte inediti, che hanno documentato e riprodotto aspetti della Rovigo settecentesca.
Basti ricordare i due volumi manoscritti Delle Iscrizioni pubbliche e private, sacre e profane, quello delle Piante delle chiese ed oratori ed ancora il Compendio delle notizie istoriche di Rovigo.
E nel Compendio incontriamo una delle diverse mappe delineate dal Campagnella, la Pianta di Rovigo e suoi borghi, a punta penna, ove sono delineate strade, chiese, punti rilevanti in una elegante ambientazione agreste.
La pianta è completata dall’elenco delle cose notabili, ben 38 riferimenti a luoghi interessanti della città dove figurano pure nuovi servizi legati allo sviluppo della città: l’edificio indicato come Posta fuori porta Arquà e collegato all’attività commerciale e ai viaggi sempre più numerosi verso le città della Repubblica e il Ferrarese e il Pra della fiera fuori porta San Francesco.
Risente di una accurata informazione e di un effettivo e costante rapporto con la realtà rodigina il prospetto di Rovigo realizzato dopo il 1770 da Marco Sebastiano Giampiccoli. L’opera è dedicata a Lorenzo Morosini, Procuratore di S. Marco, uno dei maggiori esponenti del patriziato veneziano, artefice delle riforme dello Studio di Padova, protettore dell’Accademia dei Concordi, proprietario di numerose terre nel Polesine.
Il lavoro di Giampiccoli, elegante ed accurato, coglie Rovigo da est e delinea i più rilevanti edifici sacri e i monumenti della città secondo schemi consolidati per altri centri. Sono ben riconoscibili nella stampa la chiesa di S. Bartolomeo mentre, all’esterno della cinta muraria, sulla linea d’orizzonte, verso il centro cittadino si notano, prima della porta di S. Bartolomeo, le sagome di tre vele, richiamo al traffico fluviale che aveva un fondamentale riferimento nel tratto del fiume Adigetto appena fuori del tratto di mura che va da porta S. Bartolomeo a porta S. Agostino.
Seguono campanili e cupole delle diverse chiese del centro città, dominate dalla cupola del Duomo. Non lontana si staglia torre Donà e sempre più a destra campanili ed edifici sacri sino alla Rotonda e al campanile da poco ultimato, alto ed elegante.
Si scorgono ancora tratti di mura e dei fossati realizzati a difesa del centro cittadino mentre sono chiaramente distinguibili gli stradoni, realizzati nel Cinquecento e convergenti verso la chiesa dei Sabbioni.
Piccole figure, qualche animale, filari di alberi a ridosso delle strade principali ed alcune piante ornamentali caratteristiche di siffatte riproduzioni urbane conferiscono al disegno una nota di ricercato realismo.
Altrettanto significativa l’Iscrizione ove l’indicazione del soggetto è in tre lingue: in latino (Urbis Rhodigii prospectus), in italiano (Prospetto della città di Rovigo) e in francese, lingua diffusa nell’Europa dell’Illuminismo (La ville de Rovigue).
In basso lo stemma della famiglia Morosini e la dedica al Procuratore Lorenzo Morosini.
All’opera di Giampiccoli possiamo collegare le incisioni in rame allegate alla cartografia Marchetti Milanovich e al vo-lume di Francesco Bartoli del 1793.
Nel 1786 Domenico Marchetti ed Alvise Milanovich davano alle stampe l’imponente Topografia del Polesine di Rovigo che delineava il territorio tra Adige e Po dal confine con il Ferrarese (trala-sciando quindi la Traspadana) sino al mare.
La grande stampa era arricchita dalla riproduzione di una serie di strutture idrauliche e dal Prospetto della città di Rovigo e sua pianta.
L’incisore era Antonio Sandi, lo stampatore Teodoro Viero. La pianta di Rovigo riproposta in questa Topografia è quanto mai esatta ed elegante, abbraccia città, borghi e il reticolo delle strade che si sviluppa verso est, nell’area tra S. Bortolomeo e la chiesa della Madonna dei Sabbioni.
La dichiarazione dei luoghi di interesse comprende 37 numeri con gli opportuni riferimenti.
Analoga alla precedente, ma con una angolazione più ristretta, la Pianta annessa al volume Le pitture sculture ed architetture della città di Rovigo (Venezia, Salvioni, 1793), la fondamentale guida artistica della città stesa da Francesco Bartoli.
A queste vedute e piante come agli accurati disegni del Campagnella si possono affiancare altre mappe relative alla città, delineate per esigenze civili e amministrative nel corso del Settecento o nei primi anni dell’Ottocento allorché la presenza francese e quella austriaca scompaginarono i ritmi lenti e tradizionali della vita cittadina.
Significativo al riguardo risulta un prospetto curato da Antonio Formentoni e dedicato ad Annibale Torelli Minadois, realizzato proprio nei faticosi primi anni del secolo XIX.
Il disegno delineato con mano non professionale richiama altre analoghe vedute della città.
Oltre ai campanili si notano anche qui, tra le case, gli alberi maestri di alcune imbarcazioni ormeggiate lungo l’Adigetto presso il ponte della Roda dove attraccavano i carichi mercantili.
La parte inferiore del foglio è occupata dalla dedica, da una piccola carta del Polesine e da una breve storia, quasi una scheda di presentazione della città di Rovigo dalla quale ripor-tiamo le ultime righe con notizie per alcuni aspetti scontate, per altri nuove.
Rovigo è bagnato e piacevolmente diviso dall’Adigetto e dista miglia 50 da Venezia, 25 da Padova, 50 da Verona e 18 da Ferrara.
L’aria è temperata e salubre, è cinto di mura all’antica ed ha un buon castello, logoro però dal tempo.
La città non eccede nel suo giro un miglio e mezzo non compresi però i suoi borghi; la popolazione arriva ad 8000 anime circa, ha sei porte, quattro ponti, 20 chiese, un seminario magnifico, uno spedale un Monte di Pietà, due Luoghi Pii, uno per gli orfani e l’altro per le zitelle, un Lazzaretto ed un’insigne biblioteca di proprietà della nob.
Famiglia Silvestri. Ciò che più onora Rovigo siè il copioso numero d’uomini illustri che assai e chiari risuonan nelle scienze e nelle umane lettere.
Ormai, dopo la caduta della Repubblica Veneta e l’arrivo dei francesi, la sensibilità comune è profondamente mutata e anche la rappresentazione della città assume una dimensione più scientifica e tecnica, attenta ai particolari, anche periferici, ricca di informazioni statistiche e di indicazioni funzionali.
È quanto troviamo nella Topografia della Regia città di Rovigo pubblicata nel dicembre 1828 dall’ing. Luigi Bigon corredata dall’elenco dei Pubblici Stabilimenti e da Cenni Statistici sulla superficie e gli abitanti della città e del Circondario.
Tra i mutamenti di rilievo rispetto alle piante settecentesche vi è lo sviluppo dei quartieri (soprattutto quelli di S. Agostino e S. Bartolomeo) e la presenza di abitazioni attorno alla cinta muraria, la realizzazione del Seminario nell’ex convento degli agostiniani e del Cimitero presso la chiesa dei Sabbioni.
A fine Ottocento le immagini della vecchia città torneranno nelle ricostruzioni e nei disegni di Eugenio Piva, autore di numerose vedute parziali o complessive della città oltre che di progetti fantasiosi di “sfondamenti” nel centro storico.
Soprattutto nelle immagini e nel testo della sua opera Rovigo nel secolo XIX troviamo una capacità singolare di cogliere e trasmettere il carattere discreto, tranquillo della città, ancorato ad edifici e luoghi modificati e mortificati dalle scelte urbanistiche ottocentesche.
È una sensibilità descrittiva che si collega allo stile degli eruditi rodigini del Settecento volto a comunicare, soprattutto col tratto a penna, qualcosa di più della geometria degli edifici e delle strade.
Quella del Piva può essere considerata l’ultima espressione “storica” di una attenzione davvero singolare nell’illustrare Rovigo.
Ormai il cambiare dei tempi con i progressi tecnologici porta a nuove tecniche di rappresentazione e così nella Rovigo di fine Ottocento le immagini di persone, gli scorci urbani, le vedute complessive del centro storico sono affidate alla fotografia.
La veduta di Rovigo delineata in punta di china da Guido Albarello e realizzata dall’editore Gilberto Padovan per diversi aspetti richiama le antiche rappresentazioni della città, per altri se ne scosta suggerendo, comunque, confronti e considerazioni.
Il punto di osservazione è collocato a sud-est, nella zona del quartiere di S. Bartolomeo, con una prospettiva a volo d’uccello mirata soprattutto al centro storico e alle nuove aree residenziali della Commenda.
Chiese, campanili, torri, mura, strade, palazzi, case, presenti nelle vedute dei secoli precedenti affollano anche questo disegno, pur con una proporzione diversa: edifici condominiali moderni e villette occupano gran parte del foglio, seguendo e riempiendo le antiche vie del centro storico.
Attorniate, quasi soffocate da numerose costruzioni civili sono comunque ben riconoscibili le grandi chiese di Rovigo: la Rotonda, il Duomo di S. Stefano, S. Francesco, come pure le torri dell’antico castello, tratti delle mura, le porte di S. Agostino e di S. Bartolomeo.
Rimane il tracciato dell’Adigetto, ora Corso del Popolo, quasi ad indicare l’elemento di partenza di uno sviluppo urbano dapprima lento, poi, a partire dal secondo dopoguerra, sempre più aggressivo. Richiamano ancora le antiche vedute le macchie di verde e l’incontro graduale, discreto tra le costruzioni urbane e le campagne circostanti.
Nota Bibliografica
- A. Nicolio, Historia dell’origine et antichità di Rovigo, Brescia, appresso Vincenzo Sabbio, 1582.
- C. Silvestri, Lettera informativa circa la vera condizione della città di Rovigo, in Venezia, appresso Cristoforo Zane, 1734 (tomo X della “Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici” a cura di A. Calogerà; ristampa in Rovigo, presso il Miazzi, 1735).
- F. Bartoli, Le pitture, sculture e architetture della città di Rovigo, Venezia, Pietro Savioni, 1793.
- D. Strada, Rovigo, Rovigo, Minelli, 1896.
- M.T. Dazzi, Rovigo nel ’700, in “Cronache d’arte” (Bologna), II (1925), n. 2, pp. 68-76.
- J.C. Goethe, Viaggio in Italia (1740), a cura di A. Farinelli, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1932-1933.
- C. Semenzato, Guida di Rovigo, Rovigo, Neri Pozza, 1966.
- L. Caniato, Rovigo, una città inconclusa, Treviso, Canova, 1974.
- L. Traniello, L’origine di Rovigo, Rovigo, 1975.
- Relazioni dei Rettori veneti in Terraferma. VI. Podestaria e Capitanato di Rovigo, direttore A. Tagliaferri, Milano, Giuffrè, 1976.
- Iscrizioni di Rovigo delineate da Marco Antonio Campagnella, Trieste, Lint, 1986.
- G. Pietropoli, L’Accademia dei Concordi nella vita rodigina, Limena, Signum, 1986.
- Accademia dei Concordi, Girolamo Silvestri (1728-1788). Cultura e società a Rovigo nel secolo dei lumi, Padova, Offset Invicta, 1993.
- Luoghi e vita della città, a cura di A. Cornoldi, Padova, Signum, 1995.
- La rappresentazione della città, a cura di A. Cornoldi, Padova, Signum, 1995.
- S. Ghironi, Rovigo e Adria. Piante e vedute dal 1625 al 1866, Padova, Bottega delle Arti, 1995.