Villa Capra detta “La Rotonda”

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Villa Capra la Rotonda VicenzaNel libro secondo, capitolo terzo de “I quattro libri dell’architettura”, Andrea Palladio, scrive: “Fra molti onorati gentiluomini si ritrova Monsignor Paolo Almerico che fu referendario di due sommi pontefici…  questo gentiluomo dopo aver vagato molti anni per desiderio di onore si ridusse a un suo suburbano monte ove ha fabbricato l’invenzione che segue, la quale non mi è parso mettere fra le fabbriche di villa per la vicinanza che essa ha con la città, onde si può dire che sia nella città istessa.

Il sito è degli più ameni e dilettevoli che si possano ritrovare perché sopra un monticello di ascesa facilissima, ed è da una parte bagnato dal fiume Bacchiglione, fiume navigabile e dall’altro è circondato da altri amenissimi colli che rendono l’aspetto di un molto grande teatro. . . onde, perché gode da ogni parte bellissime viste. . . vi sono state fatte logge in tutte e quattro le facce sotto il piano della quale e delle sale sono le stanze per la comodità et uso della famiglia. La sala è rotonda e piglia il lume di sopra”.

Dopo la morte di Paolo Almerico, la villa fu venduta dal figlio naturale, Virginio Bartolomeo, legittimato nel 1581, alla famiglia Capra.

Wolfgang Goethe ne “Il viaggio in Italia” diario del suo tour italiano iniziato nel 1786 e del quale una delle prime tappe fu Vicenza dove ammirò i principali monumenti, in data 21 settembre annota: “Oggi ho visitato una splendida villa detta ‘la Rotonda’, a mezz’ora dalla città, sopra un’amena collina.

Si tratta di un edificio quadrangolare che racchiude una sala rotonda, la quale riceve luce dall’alto.

Da tutti e quattro i lati si sale per le larghe scale che danno in altrettanti vestiboli formati da sei colonne corinzie.

Forse mai l’architettura ha raggiunto tal grado di magnificenza… la sala è mirabilmente proporzionata, come pure le stanze, ma per le esigenze di una famiglia signorile sarebbe appena sufficiente.

In compenso questa rotonda si presenta stupendamente da tutti i lati e per tutta quella plaga.

La varia impressione che questa mole suscita allo sguardo del visitatore, assieme a tutte le sue colonne sporgenti, è veramente straordinaria; l’intenzione del proprietario, il quale voleva lasciare agli eredi un grande fidecommisso e nel tempo stesso un segno manifesto della sua magnificenza è perfettamente raggiunta.

Come poi l’edificio da ogni punto della regione si può ammirare in tutto il suo splendore, così anche la vista che vi si gode all’intorno è una delle più deliziose.

Vi si vede scorrere il Bacchiglione in tutta la sua estensione che porta le barche scendenti da Vicenza nella Brenta e vi si può ammirare nella loro estensione i vasti possedimenti che il marchese Capra volle mantenere indivisibili nella sua famiglia…” (traduzione di Buonaventura Tecchi).

C’è poco da aggiungere: lo scrittore ha raccolto in una descrizione concisa il fascino, l’armonia di questa celebre architettura.

Rimase un ricordo indimenticabile, così che non è difficile credere che abbia pensato alla Rotonda come alla casa di Mignon, anche se sappiamo che la casa dove viveva la protagonista del Guglielmo Meister era un paese del lago Maggiore, dove, licenza poetica, lo scrittore tedesco trasferisce la villa vicentina.

I versi della “canzone di Mignon” sono appassionati e malinconici: “sai tu la casa? su colonne poggia il tetto, sale e camere risplendono, sorgon marmoree statue e mi riguardano” (traduzione di Tommaso Gnoli).

La conferma si trova nel “Giornale di viaggio in Italia per la signora von Stein”, scritto a caldo durante la visita in Italia, dove in data 22 settembre leggiamo: “…se dovessi ubbidire al mio desiderio mi intratterrei qui un mese, farei con il vecchio Scamozzi (Bertotti-Scamozzi, ndr) un rapido corso di architettura e poi proseguirei del tutto tranquillato con me stesso… Per lungo tempo fui indeciso se dare a Mignon come patria Verona o Vicenza, senza dubbio sarà Vicenza, anche perciò mi devo trattenere qui ancora qualche giorno…”.

La villa di Andrea Palladio interessò attraverso i secoli architetti, artisti, scrittori, tanto che si può ben dire che la Rotonda, alta sul piccolo colle, con la sua geometria perfetta e la sua classica bellezza rappresenti l’immagine della città palladiana.

Conosciuta in tutto il mondo, fu esportata in Inghilterra dall’architetto Inigo Jones, studioso del collega vicentino; imitata non solo in Inghilterra: Hereworthcastle di Campbell, la villa di lord Burlington a Chiswich; e, in America: villa Monticello di Jefferson, per portare solo tre esempi del palladianesimo nel mondo.

Come aveva acutamente notato Giacomo Zanella, la vista dei colli veneti e i diversi aspetti dell’orizzonte non possono venire imitati.
Ancora la villa è stata scelta da registi per ambientare scene di film.

Famoso il “Don Giovanni” di Losey; nella sala rotonda si compirà il destino di don Giovanni, inghiottito da un rogo infuocato. Pierre-Jean Remy, giornalista francese al seguito della troupe di Losey ha pubblicato un libro (edition Albin Michel,  Parigi, 1979) che si apre con l’immagine della Rotonda.

Le parole che dedica a questa sono di grande entusiasmo: “Posata al sommo di questa collina dove ci troviamo, l’abitazione, orientata da una architettura geometrica e magica apre le sue quattro porte.

Ha ugualmente quattro scalinate, quattro colonnati e le quattro porte, i quattro colonnati, le quattro gradinate convergono verso un’antica sala centrale sormontata da una cupola dove degli affreschi rappresentano la commedia del desiderio e del supplizio.

Ma queste pitture e la cupola stessa, ora non le vediamo: siamo all’esterno, ai piedi del sentiero che conduce al prato e la villa che si eleva nel mezzo è la Rotonda, costruita da Andrea Palladio intorno al 1551 per un certo Paolo Almerico, che nel 1553 vi ha ricevuto la bella Lucrezia Gonzaga in una fantasmagoria di fasti e di fuochi d’artificio come solo i principi, i condottieri e i banchieri del Rinascimento potevano immaginarli e soprattutto pagarli!”.

Se la datazione di Remy non è esatta – gli studi più recenti la pongono nel sesto decennio del Cinquecento – tuttavia anche egli, come Goethe colse la concezione centrale della costruzione, ripetuta nel salone e la tipologia della villa-tempio aperta alla pianura e ai colli, quasi dilatandosi verso la linea dell’orizzonte.

Qui Palladio esprime infatti più che nei palazzi di città, quanto a qualità cromatiche, effetti distesi e sereni, propri delle sue costruzioni di campagna; esempio più assoluto del manierismo palladiano, la villa domina lo spazio con quella ripetizione dei pronai e l’ambivalenza delle facciate, avendo come referenti l’Alberti, Leonardo, Bramante, e lo stesso Michalengelo.

La cupola, pensata più maestosa, ridotta poi nell’altezza, dà alla villa un aspetto più familiare.

Dai pronai quattro corridoi conducono nella sala centrale, illuminata dall’occhio della cupola, originariamente aperto: come un orologio la luce entra dall’alto e segna il passare delle ore commisurate al cammino del sole.

La circonferenza è concentrica a un quadrato frammentato in quattro porzioni angolari, ognuna con una sala grande con camino e uno stanzino attiguo; tra di esse e la sala centrale, entro vani triangolari sono collocate quattro scale a chiocciola (di cui due del Palladio), che mettono in comunicazione i vari piani.

Le sale della villa sono pesantemente decorate e gli affreschi le tolgono quella magia di architettura pura, di geometria dello spazio: Palladio non pensava ai dipinti nelle sue costruzioni e questi, se pur abbelliscono le stanze, restano estranei ai volumi che li ospitano.

Nella sala centrale gli affreschi delle pareti sono stati in gran parte eseguiti nel Settecento da Dorigny, autore anche dei dipinti dei corridoi, mentre nei quattro soffitti delle stanze grandi e nella cupola operarono i Maganza.

Per il soffitto della quarta stanza si fa il nome del Canera. Notevoli gli stucchi cinquecenteschi dei camini, dei soffitti e della sala centrale, mentre altri appartengono al Settecento.

Le statue sui muraglioni delle scalee sono di Lorenzo Rubini, quelle dei timpani di Giovan Battista Albanese.

La cappella seicentesca, ora nel parco di villa Valmarana ai Nani, quasi di fronte all’ingresso della Rotonda, fu fatta edificare dalla famiglia Capra, come documenta l’arma del casato sulla facciata.

Bibliografia

  • A. Palladio, I quattro libri dell’architettura, Edizioni Il Polifilo, Milano, 1980.
  • C. Semenzato, La Rotonda di Andrea Palladio, Centro Internazionale di studi di architettura “Andrea Palladio”, Vicenza, 1968.
  • P.J. Remy, Don Giovanni Mozart-Losey, Edition Albin Michel, Paris, 1979.