Piazza Duomo Vicenza

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Piazza del Duomo VicenzaPoco lontano da Piazza dei Signori, piazza Duomo è uno spazio vasto, abbellito al centro da un giardinetto con aiuole fiorite e panchine; nel mezzo la statua di Vittorio Emanuele II, eretta nel 1880 dallo scultore Benvenuti.

Nella veduta campeggiano in primo piano la copertura della cattedrale, dedicata alla Santissima Annunziata e la sagoma della cuspide della facciata in stile gotico quattrocentesco; sullo sfondo, a sinistra, il torrione di Porta Castello.

A ovest la piazza è conclusa dal lungo prospetto del palazzo del Vescovado, con una parziale veduta degli orti; la Basilica di Monte Berico, a sud, si eleva sul colle dalla folta vegetazione.

Su questo lato la piazza è limitata dal Palazzetto Roma, costruito nei primi anni del Seicento, completamente abbattuto da un bombardamento, ma ricostruito dopo la guerra con qualche variante, di cui la più cospicua è l’abbaino, che lo conclude con una ricercata grazia.

Torre Campanaria.

Domina, sulla sinistra della veduta, la torre campanaria, addossata a costruzioni nel lato ovest. Indagini e accertate scoperte collocano il robusto basamento nella prima metà del secolo X (età di Berengario) innalzata come torre di difesa della cattedrale, forse contro l’invasione degli Ungari, quando il manufatto dovette subire danni.

Il basamento in grossi blocchi di trachite e calcare con qualche elemento di riporto di tarda età romana è un manufatto massiccio a forma di parallelepipedo, con una misura di metri 11,30 per lato e doveva fare parte di un più vasto sistema difensivo con altri tre fortilizi entro i quali la cattedrale era ben custodita.

Per un’esatta datazione si deve comunque partire dal terremoto del 1117, quando il torrione venne danneggiato.

Ripristinato, sopra vi fu impostata la torre campanaria con slanciate lesene e ingentilita da archetti pensili, sopra i quali l’edificio è concluso dalla cella con una bifora su ognuno dei lati.

Cattedrale

E’ la più antica chiesa cittadina “intra moenia”; la sua costruzione avvenne in più tempi. Al tempo della seconda guerra mondiale bombardamenti aerei le inflissero devastanti danni: i più colpiti furono il presbiterio e i muri perimetrali.

Durante gli scavi per la ricostruzione dell’edificio sacro sono stati rinvenuti i resti delle antecedenti fabbriche, risalenti, i più antichi, all’ottavo secolo.

In seguito, all’inizio del dodicesimo secolo, vi fu il rifacimento di una basilica più importante, a cinque navate, preceduta da un atrio, nel XII secolo le navate furono ridotte a tre, ridotte ancora, alla fine del Trecento, quando l’interno assunse la forma attuale a un’unica grande navata, sulla quale, in tempi diversi, si aprirono le cappelle laterali.

La facciata cuspidata, eretta per volontà del vescovo Marco Barbaro, è attribuita a Domenico da Venezia: a tarsie bianche e rosa è ordinata in quattro fasce orizzontali, è di poco antecedente alla monumentale abside di Lorenzo da Bologna, spartita esternamente dalle lunghe lesene in marmo rosa, e che sorregge la cupola di Andrea Palladio.

La cuspide della facciata, abbattuta da un uragano nel 1581, è stata ricostruita in epoca recente, e il fastigio si ispira alla veduta della “Pietà” Donà Dalle Rose di Giovanni Bellini alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il cui  sfondo è composto da elementi architettonici di Vicenza e di Ravenna.

La fascia inferiore è composta da cinque arcate giganti, in quella di mezzo si apre il portale. Nella seconda fascia spicca il rosone sovrastato, nell’ultimo elemento, dallo stemma del vescovo Marco Barbaro, e la data 1467.

All’interno subito dopo l’ingresso, è la lapide tombale di Ortensio Zago, posta dai figli per volontà testamentaria dello Zago.

Le opere più significative e di maggior pregio artistico sono: nella cappella  Proti (quinta a destra), il polittico della “Dormitio Virginis” di Domenico Veneziano (1356), posto sopra il bell’altare di marmo bianco lavorato; la famiglia Proti aveva già la propria cappella nella cattedrale, ma Giampietro, per volontà testamentaria, nel 1412 lasciò quattrocento ducati d’oro per una nuova cappella da intitolare alla casata.

Sulla parete sinistra poggia il sarcofago del committente, con gli scudi della famiglia Proti a destra e della famiglia Anguissola a sinistra, resto del più imponente monumento funebre, distrutto durante un bombardamento con gli affreschi murali del Montagna.

Il polittico, che richiama in stile gotico maniere bizantine, era stato antecedentemente commissionato dal padre di Pietro, Tommaso; raffigura San Giacomo con ai piedi Tommaso Proti e San Giorgio, che ha inginocchiato davanti Giampietro.

Alle due estremità le figure dei militari sono i santi Felice e Fortunato. Da ricordare: ancora sul fianco destro, nella terza cappella “L’Adorazione dei pastori”, di Alessandro Maganza e “L’Adorazione dei Magi” di Francesco Maffei.

Le due tele seicentesche, di pregevolissima fattura, offrono un interessante spunto per un confronto dei soggetti, dipinti secondo la tradizione; l’aspetto popolaresco dell’“Adorazione dei pastori”, con il Bambino “di luce” al centro fa da contrasto con l’ambientazione aristocratica dell’“Adorazione dei Magi”.

Sul lato sinistro la quarta cappella contiene la pala di Bartolomeo Montagna “Maria Vergine con Gesù e due Sante”.

Nella quinta cappella dedicata alla Madonna Incoronata è una pala in pietra dipinta firmata da Antonino da Venezia e datata 1448. La sesta cappella, del Santissimo

Sacramento contiene sei tele di Alessandro Maganza con episodi della Passione, sistemati in una ricca decorazione settecentesca a stucchi.

Solenni monumenti funebri arricchiscono alcune cappelle.

Una scalinata con complesso di balaustra e pulpiti di marmo rosso sale al Coro rinascimentale, al centro del paramento Civran risalta l’altare maggiore, con intarsi di preziosi marmi policromi e pietre dure, uscito dalla bottega dei Pedemuro, al quale fu commissionato nel 1534 da Aurelio Dall’Acqua, lo stemma del quale si trova negli spazi tra le due coppie di colonne scanalate.

Il paramento Civran è un insieme di dodici tele; committente fu il vescovo Giuseppe Civran (1630-1679). Compiute tra il 1680 e il 1681, le tele, cinque a sinistra con episodi dell’antico Testamento, cinque a destra dalla “‘Leggenda della Croce” e le due al centro con l’“Annunciazione”  sono, a partire da sinistra:

  1. “Mosè sostenuto nella preghiera”, mentre Israele combatte, tela attribuita a Giovan Battista Minorelli.
  2. “Il serpente di bronzo”, opera affollata di figure, di Bartolomeo Cittadella. “
  3. Il sacrificio di Noè”, di Pietro Liberi: il Patriarca appena uscito dall’arca, è inginocchiato in ringraziamento, nel cielo che si sta schiarendo, appare l’arcobaleno.
  4. “Il sogno di Giacobbe” con l’angelo che scende in volo nel bosco, è attribuito a Giambattista Volpato.
  5. “Il Faraone sommerso nel Mar Rosso”, tela pregevole di Antonio Zanchi, al quale spettano pure i due quadri de “L’Annunciazione”, ai lati dell’altare.
  6. Ancora dello Zanchi: “L’apparizione della Croce a Costantino”, il quale legge nel cielo, tra angeli la scritta: “In hoc signo vinces”.
  7. “La disfatta di Massenzio” al ponte Milvio, del Cittadella, è scena movimentata da guerrieri e da angeli.
  8. Attribuito a Giovan Battista Minorelli è “Il miracolo della vera Croce”, notevole per le figure, tra le quali spicca, con il volto assorto, Elena.
  9. “Eraclio si accinge a portare la Croce”, ottimo lavoro di Andrea Celesti, è tra le opere rimarchevoli del Paramento.
  10. Chiude questa rassegna di pitture seicentesca: “San Luigi di Francia dona la reliquia della Croce al beato Bartolomeo da Breganze”, di Giovanni Carboncino.

Il paramento Civran è concluso da una balaustra, sovrastata da angeli reggenti gli strumenti della Passione, opera della bottega dei Marinali.

All’autenticazione delle schede è arrivato lo studioso Mons. Mario Saccardo, basandosi sulla certezza del ritrovamento dei pagamenti agli autori dei dipinti.

Argomento, che in caso di attribuzioni, risulta inconfutabile.

Palazzo del Vescovado.

Sorse in età medioevale come fortificazione, quando i vescovi conti reggevano la città e parte del territorio. In epoche diverse, dal Quattrocento al nostro secolo venne rifatta la facciata: eretta nel Seicento da Revese Bruti, riedificata nell’Ottocento dall’architetto luganese Giacomo Verda, dopo la rovina in seguito al bombardamento, il lungo prospetto a bugnato rustico del primo ordine venne ricostruito restituendo il precedente disegno neoclassico.

Sul cortile interno la leggiadra loggia Zeno, ultimo resto di una precedente architettura in stile lombardesco, dell’ultimo decennio del secolo XV.

Criptoportico romano

In piazza del Duomo, con ingresso di fianco a palazzetto Roma, si scende per una stretta scala sei metri sotto il livello stradale, al criptoportico romano, un “unicum” di tutto il territorio dell’Italia settentrionale e la testimonianza meglio conservata della Vicenza romana.

Trovato recentemente scavando le fondamenta della nuova canonica della cattedrale, doveva essere parte di una più grande costruzione a uso privato.

Conferma le ipotesi che l’odierna piazza era già in età romana, un  luogo centrale, dove forse sorgeva il Foro, la cui collocazione non è ancora stata bene identificata, anche se doveva trovarsi in un sito compreso tra la piazza dei Signori, piazza del Duomo, corso Andrea Palladio, che entrando in città ne era il decumano massimo e incontrava il cardine all’incirca all’attuale incrocio del corso con contrà Porti.

Allora, come oggi, era questa zona il centro cittadino dove si svolgeva vita pubblica, punto d’incontro per i mercati e gli affari.

Il criptoportico è una galleria orientata a nord est-sud ovest ed è composta da tre lunghi corridoi (da 27 a 29,5 metri) che si intersecano perpendicolarmente attorno a un cortile quadrato.

I corridoi hanno copertura a volta a botte che insiste sulla robusta struttura perimetrale.

Le pareti rivestite di intonaco a marmorino sono parzialmente affrescate di colore rosso e decorate con cornici in stucco. Alle due estremità del braccio mediano si aprono nella parte occidentale un vano, all’estremità opposta altro vano quadrangolare comunica con un ambiente trapezoidale.

Trentun finestrelle a bocca di lupo prendevano luce e aerazione dal cortile centrale.
La scala, al ritrovamento, presentava ampie campiture monocrome: rimangono alcuni lacerti di colore nero dello zoccolo e di colore rosso pompeiano delle partiture superiori a riquadri limitati da strisce in verde azzurro.

Durante i lavori di scavo sono stati ritrovati lacerti di tre differenti pavimentazioni a diversi livelli: il primo pavimento è composto da mattonelle in cotto esagonali, ornate al centro da una tessera bianca, e romboidali, il secondo è a mosaico con tessere in marmo bianco e nero, il terzo a grossi riquadri in cotto.

Il pavimento attuale, di ricostruzione moderna, si trova a una quota di metri O, 15 superiore a quella del pavimento più antico.

Il criptoportico doveva essere parte di una abitazione civile – la cui datazione potrebbe essere indicata nella fine del primo secolo dopo Cristo – presumibilmente una villa in quartiere, come si direbbe oggi, residenziale e che forse si protendeva con i giardini fino al fiume Retrone, poiché è stata rinvenuta una canaletta per lo scolo delle acque che confluivano nel canale romano che attraversava il giardino del palazzo vescovile, fino a gettarsi nel Retrone.

Il portico doveva essere adibito a magazzino di vettovaglie, corrispondente alle nostre dispense.

Per la data si può pensare alla fine del primo secolo dopo Cristo.

Bibliografia

  • Bruna Forlati Tamaro, Il criptoportico di Vicenza, Stocchiero Grafiche, Vicenza, 1985.
  • G.Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Comune di Vicenza, 1987.
  • E.Chiesa, Vicenza città bellissima, Panda Edizioni, Padova, 1987.
  • R.Schiavo, B.Chiozzi, Vicenza città nobilissima, Libreria G. Traverso Editrice, Vicenza, 1993.
  • A.a.V.v., Il paramento Civran, Rumor Editrice, Vicenza, 1993.
  • F.Barbieri, R.Cevese, L.Magagnato, Vicenza, Arti Grafiche delle Venezie, 1993.
  • O.Bullato, Scudi di pietra, Banca Popolare Vicentina, 1997.
  • Cattedrale di Vicenza – Restauro della torre campanaria, Banco Ambrosiano Veneto: Restituzioni, 1998.

Piazza Duomo

Poco lontano da Piazza dei Signori, piazza Duomo è uno spazio vasto, abbellito al centro da un giardinetto con aiuole fiorite e panchine; nel mezzo la statua di Vittorio Emanuele II, eretta nel 1880 dallo scultore Benvenuti. Nella veduta campeggiano in primo piano la copertura della cattedrale, dedicata alla Santissima Annunziata e la sagoma della cuspide della facciata in stile gotico quattrocentesco; sullo sfondo, a sinistra, il torrione di Porta Castello. A ovest la piazza è conclusa dal lungo prospetto del palazzo del Vescovado, con una parziale veduta degli orti; la Basilica di Monte Berico, a sud, si eleva sul colle dalla folta vegetazione. Su questo lato la piazza è limitata dal Palazzetto Roma, costruito nei primi anni del Seicento, completamente abbattuto da un bombardamento, ma ricostruito dopo la guerra con qualche variante, di cui la più cospicua è l’abbaino, che lo conclude con una ricercata grazia.

Torre Campanaria.

Domina, sulla sinistra della veduta, la torre campanaria, addossata a costruzioni nel lato ovest. Indagini e accertate scoperte collocano il robusto basamento nella prima metà del secolo X (età di Berengario) innalzata come torre di difesa della cattedrale, forse contro l’invasione degli Ungari, quando il manufatto dovette subire danni. Il basamento in grossi blocchi di trachite e calcare con qualche elemento di riporto di tarda età romana è un manufatto massiccio a forma di parallelepipedo, con una misura di metri 11,30 per lato e doveva fare parte di un più vasto sistema difensivo con altri tre fortilizi entro i quali la cattedrale era ben custodita.

Per un’esatta datazione si deve comunque partire dal terremoto del 1117, quando il torrione venne danneggiato.

Ripristinato, sopra vi fu impostata la torre campanaria con slanciate lesene e ingentilita da archetti pensili, sopra i quali l’edificio è concluso dalla cella con una bifora su ognuno dei lati.

Cattedrale.

E’ la più antica chiesa cittadina “intra moenia”; la sua costruzione avvenne in più tempi. Al tempo della seconda guerra mondiale bombardamenti aerei le inflissero devastanti danni: i più colpiti furono il presbiterio e i muri perimetrali. Durante gli scavi per la ricostruzione dell’edificio sacro sono stati rinvenuti i resti delle antecedenti fabbriche, risalenti, i più antichi, all’ottavo secolo. In seguito, all’inizio del dodicesimo secolo, vi fu il rifacimento di una basilica più importante, a cinque navate, preceduta da un atrio, nel XII secolo le navate furono ridotte a tre, ridotte ancora, alla fine del Trecento, quando l’interno assunse la forma attuale a un’unica grande navata, sulla quale, in tempi diversi, si aprirono le cappelle laterali.

La facciata cuspidata, eretta per volontà del vescovo Marco Barbaro, è attribuita a Domenico da Venezia: a tarsie bianche e rosa è ordinata in quattro fasce orizzontali, è di poco antecedente alla monumentale abside di Lorenzo da Bologna, spartita esternamente dalle lunghe lesene in marmo rosa, e che sorregge la cupola di Andrea Palladio. La cuspide della facciata, abbattuta da un uragano nel 1581, è stata ricostruita in epoca recente, e il fastigio si ispira alla veduta della “Pietà” Donà Dalle Rose di Giovanni Bellini alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il cui sfondo è composto da elementi architettonici di Vicenza e di Ravenna.

La fascia inferiore è composta da cinque arcate giganti, in quella di mezzo si apre il portale. Nella seconda fascia spicca il rosone sovrastato, nell’ultimo elemento, dallo stemma del vescovo Marco Barbaro, e la data 1467.

All’interno subito dopo l’ingresso, è la lapide tombale di Ortensio Zago, posta dai figli per volontà testamentaria dello Zago.

Le opere più significative e di maggior pregio artistico sono: nella cappella Proti (quinta a destra), il polittico della “Dormitio Virginis” di Domenico Veneziano (1356), posto sopra il bell’altare di marmo bianco lavorato; la famiglia Proti aveva già la propria cappella nella cattedrale, ma Giampietro, per volontà testamentaria, nel 1412 lasciò quattrocento ducati d’oro per una nuova cappella da intitolare alla casata. Sulla parete sinistra poggia il sarcofago del committente, con gli scudi della famiglia Proti a destra e della famiglia Anguissola a sinistra, resto del più imponente monumento funebre, distrutto durante un bombardamento con gli affreschi murali del Montagna. Il polittico, che richiama in stile gotico maniere bizantine, era stato antecedentemente commissionato dal padre di Pietro, Tommaso; raffigura San Giacomo con ai piedi Tommaso Proti e San Giorgio, che ha inginocchiato davanti Giampietro. Alle due estremità le figure dei militari sono i santi Felice e Fortunato. Da ricordare: ancora sul fianco destro, nella terza cappella “L’Adorazione dei pastori”, di Alessandro Maganza e “L’Adorazione dei Magi” di Francesco Maffei. Le due tele seicentesche, di pregevolissima fattura, offrono un interessante spunto per un confronto dei soggetti, dipinti secondo la tradizione; l’aspetto popolaresco dell’“Adorazione dei pastori”, con il Bambino “di luce” al centro fa da contrasto con l’ambientazione aristocratica dell’“Adorazione dei Magi”. Sul lato sinistro la quarta cappella contiene la pala di Bartolomeo Montagna “Maria Vergine con Gesù e due Sante”. Nella quinta cappella dedicata alla Madonna Incoronata è una pala in pietra dipinta firmata da Antonino da Venezia e datata 1448. La sesta cappella, del Santissimo Sacramento contiene sei tele di Alessandro Maganza con episodi della Passione, sistemati in una ricca decorazione settecentesca a stucchi.

Solenni monumenti funebri arricchiscono alcune cappelle. Una scalinata con complesso di balaustra e pulpiti di marmo rosso sale al Coro rinascimentale, al centro del paramento Civran risalta l’altare maggiore, con intarsi di preziosi marmi policromi e pietre dure, uscito dalla bottega dei Pedemuro, al quale fu commissionato nel 1534 da Aurelio Dall’Acqua, lo stemma del quale si trova negli spazi tra le due coppie di colonne scanalate.

Il paramento Civran è un insieme di dodici tele; committente fu il vescovo Giuseppe Civran (1630-1679). Compiute tra il 1680 e il 1681, le tele, cinque a sinistra con episodi dell’antico Testamento, cinque a destra dalla “‘Leggenda della Croce” e le due al centro con l’“Annunciazione” sono, a partire da sinistra: “Mosè sostenuto nella preghiera”, mentre Israele combatte, tela attribuita a Giovan Battista Minorelli. “Il serpente di bronzo”, opera affollata di figure, di Bartolomeo Cittadella. “Il sacrificio di Noè”, di Pietro Liberi: il Patriarca appena uscito dall’arca, è inginocchiato in ringraziamento, nel cielo che si sta schiarendo, appare l’arcobaleno. “Il sogno di Giacobbe” con l’angelo che scende in volo nel bosco, è attribuito a Giambattista Volpato. “Il Faraone sommerso nel Mar Rosso”, tela pregevole di Antonio Zanchi, al quale spettano pure i due quadri de “L’Annunciazione”, ai lati dell’altare. Ancora dello Zanchi: “L’apparizione della Croce a Costantino”, il quale legge nel cielo, tra angeli la scritta: “In hoc signo vinces”. “La disfatta di Massenzio” al ponte Milvio, del Cittadella, è scena movimentata da guerrieri e da angeli. Attribuito a Giovan Battista Minorelli è “Il miracolo della vera Croce”, notevole per le figure, tra le quali spicca, con il volto assorto, Elena. “Eraclio si accinge a portare la Croce”, ottimo lavoro di Andrea Celesti, è tra le opere rimarchevoli del Paramento. Chiude questa rassegna di pitture seicentesca: “San Luigi di Francia dona la reliquia della Croce al beato Bartolomeo da Breganze”, di Giovanni Carboncino.

Il paramento Civran è concluso da una balaustra, sovrastata da angeli reggenti gli strumenti della Passione, opera della bottega dei Marinali.

All’autenticazione delle schede è arrivato lo studioso Mons. Mario Saccardo, basandosi sulla certezza del ritrovamento dei pagamenti agli autori dei dipinti. Argomento, che in caso di attribuzioni, risulta inconfutabile.

Palazzo del Vescovado.

Sorse in età medioevale come fortificazione, quando i vescovi conti reggevano la città e parte del territorio. In epoche diverse, dal Quattrocento al nostro secolo venne rifatta la facciata: eretta nel Seicento da Revese Bruti, riedificata nell’Ottocento dall’architetto luganese Giacomo Verda, dopo la rovina in seguito al bombardamento, il lungo prospetto a bugnato rustico del primo ordine venne ricostruito restituendo il precedente disegno neoclassico. Sul cortile interno la leggiadra loggia Zeno, ultimo resto di una precedente architettura in stile lombardesco, dell’ultimo decennio del secolo XV.

Criptoportico romano.

In piazza del Duomo, con ingresso di fianco a palazzetto Roma, si scende per una stretta scala sei metri sotto il livello stradale, al criptoportico romano, un “unicum” di tutto il territorio dell’Italia settentrionale e la testimonianza meglio conservata della Vicenza romana. Trovato recentemente scavando le fondamenta della nuova canonica della cattedrale, doveva essere parte di una più grande costruzione a uso privato. Conferma le ipotesi che l’odierna piazza era già in età romana, un luogo centrale, dove forse sorgeva il Foro, la cui collocazione non è ancora stata bene identificata, anche se doveva trovarsi in un sito compreso tra la piazza dei Signori, piazza del Duomo, corso Andrea Palladio, che entrando in città ne era il decumano massimo e incontrava il cardine all’incirca all’attuale incrocio del corso con contrà Porti. Allora, come oggi, era questa zona il centro cittadino dove si svolgeva vita pubblica, punto d’incontro per i mercati e gli affari.

Il criptoportico è una galleria orientata a nord est-sud ovest ed è composta da tre lunghi corridoi (da 27 a 29,5 metri) che si intersecano perpendicolarmente attorno a un cortile quadrato. I corridoi hanno copertura a volta a botte che insiste sulla robusta struttura perimetrale.

Le pareti rivestite di intonaco a marmorino sono parzialmente affrescate di colore rosso e decorate con cornici in stucco. Alle due estremità del braccio mediano si aprono nella parte occidentale un vano, all’estremità opposta altro vano quadrangolare comunica con un ambiente trapezoidale. Trentun finestrelle a bocca di lupo prendevano luce e aerazione dal cortile centrale.

La scala, al ritrovamento, presentava ampie campiture monocrome: rimangono alcuni lacerti di colore nero dello zoccolo e di colore rosso pompeiano delle partiture superiori a riquadri limitati da strisce in verde azzurro. Durante i lavori di scavo sono stati ritrovati lacerti di tre differenti pavimentazioni a diversi livelli: il primo pavimento è composto da mattonelle in cotto esagonali, ornate al centro da una tessera bianca, e romboidali, il secondo è a mosaico con tessere in marmo bianco e nero, il terzo a grossi riquadri in cotto. Il pavimento attuale, di ricostruzione moderna, si trova a una quota di metri O, 15 superiore a quella del pavimento più antico.

Il criptoportico doveva essere parte di una abitazione civile – la cui datazione potrebbe essere indicata nella fine del primo secolo dopo Cristo – presumibilmente una villa in quartiere, come si direbbe oggi, residenziale e che forse si protendeva con i giardini fino al fiume Retrone, poiché è stata rinvenuta una canaletta per lo scolo delle acque che confluivano nel canale romano che attraversava il giardino del palazzo vescovile, fino a gettarsi nel Retrone.

Il portico doveva essere adibito a magazzino di vettovaglie, corrispondente alle nostre dispense. Per la data si può pensare alla fine del primo secolo dopo Cristo.

Bibliografia

Bruna Forlati Tamaro, Il criptoportico di Vicenza, Stocchiero Grafiche, Vicenza, 1985.

G.Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Comune di Vicenza, 1987.

E.Chiesa, Vicenza città bellissima, Panda Edizioni, Padova, 1987.

R.Schiavo, B.Chiozzi, Vicenza città nobilissima, Libreria G. Traverso Editrice, Vicenza, 1993.

A.a.V.v., Il paramento Civran, Rumor Editrice, Vicenza, 1993.

F.Barbieri, R.Cevese, L.Magagnato, Vicenza, Arti Grafiche delle Venezie, 1993.

O.Bullato, Scudi di pietra, Banca Popolare Vicentina, 1997.

Cattedrale di Vicenza – Restauro della torre campanaria, Banco Ambrosiano Veneto: Restituzioni, 1998.