Complesso Valmarana a San Bastiano

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Villa Valmarana ai NaniSalendo il colle di San Bastian lungo via G. B. Tiepolo si arriva in uno dei luoghi più ameni del Vicentino: una piccola piazza limitata da due cancellate: di faccia al punto in cui sbocca la via un bel portale settecentesco immette a villa Valmarana, ora Franco, costruzione ottocentesca immersa in un parco di piante secolari, nel luogo dove sorgeva la chiesa di San Sebastiano.

Perla del luogo è il complesso di villa Valmarana, detta dei Nani per le statue dei nani, appunto, un motivo ricorrente nell’ambiente dei giardini sei-settecenteschi, poste lungo la cinta del muro, che fiancheggia l’ultimo tratto di via Tiepolo.

Del complesso fanno parte la palazzina, la foresteria, la scuderia, e la chiesetta.

La vista che si gode verso i colli Berici è tipica del paesaggio veneto e assume una caratterizzazione romantica nella valletta del Silenzio, così cara ad Antonio Fogazzaro, che, avendo sposato Margherita Valmarana, visse nella villa confinante distrutta da un bombardamento aereo e sostituita da una costruzione moderna, ora villa Ceschi. Fogazzaro ambientò qui alcuni episodi del romanzo “Piccolo mondo moderno”.

Tra le due proprietà esiste ancora il cancelletto, luogo dell’incontro tra Piero Maironi e Jeanne Dessalle.

La palazzina venne fatta costruire nella seconda metà del Seicento dal giureconsulto Gian Maria Bertolo, che, trasferitosi a Venezia, non aveva dimenticato la sua città, dove tornava a soggiornare e al quale è legato il nome della Civica Biblioteca Bertoliana, sorta dal lascito della ricca biblioteca del Bertolo.

Non si conosce il nome dell’architetto che costruì la villa dalla sobria architettura, ma non priva di grazia seicentesca.

La villa nel Settecento, alla morte del Bertolo, mancando questi di eredi maschi (due figlie si erano fatte monache), fu acquistata dai Valmarana, che la resero famosa, insieme alla foresteria, chiamando Giovambattista e Giandomenico Tiepolo ad affrescarle.

Il nome di villa “dei nani”, con il quale la palazzina è chiamata familiarmente dai vicentini è legato a una leggenda.

Questa racconta di una fanciulla nana, figlia del signore del luogo, tenuta rinchiusa con la sola compagnia di servitori nani perché non venisse a conoscenza della sua figura deforme, in una prigionia dorata nel castello preesistente alla villa. Così viveva felice nella ricca casa e nel bellissimo giardino circondato da un alto muro.

Finché un giorno, arrampicatasi sulla mura, vide passare lungo il viottolo sottostante un bellissimo giovane su un bianco destriero.

Di colpo la fanciulla si rese conto del suo infelice stato e si gettò nel vuoto.

Gli affezionati nani, accorsi, si pietrificarono dal dolore sulla sommità della cinta muraria.

La leggenda ha, nel tempo, accresciuto la sua fama e la ritroviamo in un racconto di Paul Morand, accademico di Francia.

Ne “Le chateau aventureux”, ambientato a Vicenza, dove il Bacchiglione unisce le sue acque al Retrone, lo scrittore racconta la storia di una maledizione che si ripete in una famiglia attraverso i secoli: per due volte nasce una nana e i parenti fanno di tutto per preservarla dal contatto con la gente normale.

La storia di Orsina, nata in età medioevale, segue la leggenda locale, mentre Laura, la nana del Settecento è paradigmatica dell’età dei lumi: trovato per lei dalla famiglia un marito, bello, nobile e ricco, Laura vedrà in lui il diverso, il mostro e lo ucciderà.

Dal parterre all’italiana, profumato in primavera dalle bellissime rose, vanto del giardino, si entra nella palazzina, dove Giovambattista Tiepolo compì nel 1757 un ciclo pittorico ispirato ai poemi classici, cari all’ozio dei suoi contemporanei e congeniali alla sua natura.

Con  classica eleganza ritrae scene dall’Iliade, dall’Eneide, dall’Orlando furioso e dalla Gerusalemme liberata.

Tiepolo dipinge con colori delicati e trasparenti, usa toni leggeri; questa pittura dal cromatismo chiaro e sereno, segna la grande svolta pittorica del Settecento, nell’abbandono delle cupezze controriformistiche caratterizzanti il secolo precedente.

Inoltre attraverso spunti architettonici: logge, balaustre, archi, colonne, Giambattista inventa vere e proprie scenografie teatrali ed è ispirato da momenti di alto lirismo poetico in cieli tersi e nuvole di perla.

Le pregevoli quadrature sono del Mengozzi Colonna.

Palazzina

Salone centrale: sacrificio di Ifigenia; Diana invia la cerva a salvare la giovinetta dall’uccisione.

Eolo soffia i venti propizi per la partenza della flotta greca verso Troia.

Prima sala a destra: continua il racconto con episodi dell’Iliade: Achille consolato da Teti; Briseide alla tenda di Agamennone; Achille irato per la perdita di Briseide è trattenuto da Minerva.

Il paesaggio campestre fa pensare alla mano di Gian Domenico.

Seconda sala a destra: stanza dell’Orlando furioso: Angelica, prigioniera del mostro marino, è salvata da Ruggero; Medoro curato da Angelica; Angelica e Medoro nella capanna dei pastori (anche per questi si pensa alla mano di Giandomenico); Angelica incide sulla corteccia delle piante il nome dell’amato Medoro. Nel soffitto l’affresco dell’Amore bendato.

Prima sala a sinistra: stanza della Gerusalemme liberata: Rinaldo, addormentato dopo le fatiche della battaglia fa innamorare la maga Armida; Armida tiene Rinaldo prigioniero d’amore nel suo giardino delle delizie; Rinaldo riportato alla realtà da due uomini d’arme, abbandona la maga che inutilmente tenta di trattenerlo. Nel soffitto affresco del Vizio e della Virtù.

Seconda sala a sinistra: stanza dell’Eneide: Venere appare ad Enea sbarcato a Cartagine; Enea con il figlio Ascanio, sostituito da Venere con Eros, davanti a Didone: Enea ha l’apparizione di Mercurio, che lo incita a partire da Cartagine per portare a termine l’impresa a cui è destinato per volontà degli dei.

Nella foresteria, opera di Francesco Muttoni, Giandomenico, diversamente dal padre non sale al mondo degli dei e degli eroi, ma resta tra gli uomini a  raccontare un vissuto quotidiano di vita contadina, di passeggiate in campagna, di giochi di carnevale.

Tra padre e figlio c’è solo una generazione, ma è la generazione di un mondo che sta cambiando e si può cogliere qui, dove i due Tiepolo lavorarono porta a porta.

S’inizia la visita oltrepassato lo scuro salone per entrare nelle stanze luminose che si affacciano sulla valletta del Silenzio: dalla stanza delle cineserie, dove sono raffigurati personaggi orientali si passa alla sala dei contadini, con scene di vita agreste, da qui alla stanza della villeggiatura, con le celebri passeggiate.

La stanza dell’Olimpo  vide al lavoro Giambattista che affrescò ancora divinità del mondo classico.

Segue la stanza del carnevale, con le scene del ciarlatano e quella famosissima de “Il mondo novo”, ambedue firmate da Giandomenico, e la scena di ballo del minuetto.

Nel gustoso affresco della cioccolata, un moro scende una scala con una tazza di cioccolata, la classica bevanda del Settecento veneziano, prima dell’introduzione del caffè.

Con entrata dalla stradella che scende alla Rotonda la scuderia, nobile architettura, ristrutturata e trasformata in una gradevole abitazione: qui abitò per diversi anni, fino alla morte (avvenuta il 28 novembre 1978 durante un viaggio in Giappone) il grande architetto veneziano Carlo Scarpa, attratto dal magico panorama del colle di San Bastian.

Bibliografia

  • F. Barbieri, R. Cevese, L. Magagnato. Guida di Vicenza, Ed. S.A.T., 1953.