(Elisanna Matteazzi Chiesa)
Sul colle di Monte Berico a Vicenza sorge un santuario dedicato alla Madonna, certamente il più importante di Vicenza e tra i più famosi d’Italia.
Collocato a meridione della città su di un poggio panoramico e ameno, per secoli è stato richiamo di innumerevoli pellegrinaggi da ogni dove.
I colli o promontori accostati alle città fin dall’antichità erano coronati da un santuario o da un tempio insigne. Ben note sono le acropoli etrusche e greche dove sorgevano monumentali edifici di culto agli dei, per non parlare dei templi romani a noi più vicini.
Gli storici vicentini parlano di un tempietto ad Apollo e a Diana collocato a protezione della “Vicetia” romana sulle pendici del colle Berico.
Non abbiamo sufficienti elementi per affermarlo, probabilmente perché i reperti antichi di cui si parla andarono dispersi o perduti.
E’ pervenuta invece una iscrizione in lingua venetica, incisa su pietra, rinvenuta nei pressi di Villa Guiccioli sui Colli Berici, a testimonianza di una popolazione della prima epoca paleoveneta.
Pure nell’incertezza dell’interpretazione, oggi si ritiene trattarsi di un monumento dedicato agli dei terminali da un dedicante rivestito da una carica pubblica o sacerdotale.
Il colle Berico ebbe nuova e del tutto diversa importanza in epoca cristiana allorché sorse il santuario dedicato alla Vergine Maria, che giunge ai giorni nostri col titolo di Basilica della Madonna di Monte Berico.
Il santuario di Monte Berico
La basilica di Monte Berico è un santuario, cioè un luogo sacro e privilegiato della bontà di Dio, resa visibile per l’intercessione materna della Vergine Maria, invocata come Madre di misericordia.
Fu infatti l’intercessione di Maria Vergine ad ottenere nel 1424 la cessazione della pestilenza che da anni affliggeva la città e il territorio di Vicenza. Il santuario continua a raccogliere folle di fedeli che chiedono la potente e clemente intercessione della Madonna con segni e grazie per il proprio bene spirituale e, se possibile, personale.
Contemporaneamente si sparse l’iconografia della Madonna e si moltiplicarono i santuari mariani con decorazioni di inestimabile valore.
La prima testimonianza documentata del culto mariano a Vicenza risale al VI secolo, quando l’antico sacello martiriale di S. Felice e Fortunato in città prese il nome di “Sancta Maria Mater Domini” e, quando fin dalle origini, la Cattedrale cittadina fu dedicata alla Vergine Annunciata.
E’ possibile credere che la devozione alla Madonna si spargesse anche attraverso piccole edicole, in luoghi particolarmente adatti a lodare Dio e la Vergine, specialmente sui nostri colli.
Monte Berico ebbe la vocazione di divenire per mano soprannaturale, un santuario dedicato alla Madonna, fatto che si realizzò dopo le visioni straordinarie testimoniate nel 1428 da Vincenza Pasini.
Il santuario di Monte Berico fu meta di folle di credenti a partire da quegli anni, quando la città e il suo territorio era sconvolto da una spietata pestilenza ed ottenne la prodogiosa cessazione del terribile flagello.
Fulcro del santuario è la sacra immagine della Madonna invocata come Madre della Misericordia, collocata dietro un prezioso altare presbiteriale in una nicchia marmorea sulla parete di fondo. Sotto l’ampio manto regale allargato la Madonna dal volto buono e materno tiene vicino a sè due gruppi di devoti inginocchiati, con gesto di abbraccio e di protezione.
L’immagine scolpita in moduli tardogotici, è opera attribuita a Nicolò da Venezia; per il gusto compositivo e le cifre affastellata del “rectus” gostico è precedente a quella simile di San Felice (Puppi).
E’ venerata come protettrice di Vicenza e “della campagna ove tortuoso il Bacchiglione feconda” come dice il poeta vicentino Giacomo Zanella.
La basilica di Monte Berico
La celebre basilica di Monte Berico sorge su una spaziosa spianata, delimitata da una balconata barocca, cui si accede per tre ampie gradinate, disposte simmetricamente di fronte alle facciate, simili tra loro, dell’augusto tempio.
La felice soluzione dell’accesso e dell’ampia spianata è opera dell’architetto Giacomo Verda, che in qualche modo ricorda la coloristica gradinata di Pietro Vittor Pisani capitano della città.
Sull’ampia “platea” si eleva la basilica, opera imponente di Carlo Borella, architetto vicentino che nel 1688 cercò di vivacizzare l’impostazione architettonica classica di tradizione palladiana, restando, peraltro, legato agli influssi di gusto barocco. La basilica è maggiormente valorizzata per la recente costruzione del vasto piazzale della Vittoria (1924).
Franco Barbieri ha meritatamente individuato nella basilica del Borella un rifacimento architettonico del precedente santuario, costruito su un disegno di Andrea Palladio nel 1576, come addizionale della chiesa gotica visibile nella facciata occidentale. Remo
Schiavo, in un suo pregevole studio, riferisce che Andrea Palladio aveva proposto un disegno di massima con un tempio, “isolato sul colle, liberato da vincoli”, insomma la chiesa perfetta “microcosmo”, soave armonia di parti, in breve, il tempio quadrato o rotondo che gli pareva più adatto a rappresentare quel Dio che tutto informa e permea l’universo.
Precisa il Barbieri che l’addizionale palladiana, che si innestava al fianco ovest della chiesa gotica, proprio di fronte all’altare della Madonna, era un quadrato con m 12.50 di lato senza divisioni di pilastri o colonne, adatto quindi a soddisfare le esigenze dell’afflusso dei pellegrini.
Osservando l’esterno della basilica va notato il risalto degli elementi mediani delle facciate, che si ripetono sui tre lati del sacro edificio.
La messa in rilievo è data da colonne intere, con capitelli corinzi, sostenute da aggettanti plinti a limite e ornamento del portale d’ingresso.
Dalla zona superiore alla cornice con balaustra che tutt’attorno delimita il prospetto, in ogni facciata si eleva a chiusura prospettica un modanato fastigio.
Le finestre trilobate, le statue simmetricamente sparse nei vuoti delle pareti e le sculture sopra i portali mostrano la cultura del Borella, influenzata dalla chiassosa ricchezza ornamentale dell’epoca barocca, frutto di un ormai superato rinascimento.
Di altri influssi sono, ancora, le sculture di pregio che ornano le facciate della basilica. Le statue sono di Orazio Marinali e della sua scuola, rappresentanti Santi e Martiri mentre gli incorniciati altorilievi sopra le porte, raffigurano i momenti più significativi di Vincenza Pasini che parla della sua visione ai Deputati della città, al popolo di Vicenza e, sopra il portale centrale, della sua prodigiosa Apparizione.
Nel timpano della facciata principale troneggia il grande stemma della città di Vicenza, i cui Deputati avevano collaborato alla raccolta dei mezzi per la costruzione del sacro edificio.
Sulla facciata occidentale appare poi giustapposta la facciata di una chiesa di più limitate dimensioni di stile gotico, costruita nel 1436 a motivo di rispondere all’esigenza di un afflusso di fedeli sempre più consistente e per dare maggiore nobiltà al santuario.
Ne venne così quel sacro edificio che si credette essere la prima costruzione dopo l’Apparizione, ma che in realtà non fu così come meritatamente dimostra Aristide Dani.
I due edifici sono l’indice di due società e civiltà diverse.
La basilica maggiore, antigotica e fastosa, sembra gareggiare con le risorse del movimento e del colore, nel senso tonale ossia luministico che viene dato dal contrasto repentino e visibile di luce e ombra.
La chiesa gotica richiama una storia che si porta alle origini del santuario.
Aristide Dani in una silloge di studio in onore del vescovo Onisto documentò la storia delle origini delle chiese di Monte Berico a partire dal luogo e dal momento delle Sacre Apparizioni a Vincenza Pasini (7 marzo 1426 e 2 agosto 1428).
In questo lavoro lo studioso mostra come c’era una primitiva chiesa a capriate, orientata da Sud a Nord con l’altare della Madonna addossato alla parete nel luogo che doveva essere stato quello delle Apparizioni.
La chiesetta gotica invece è la seconda in ordine di tempo, risalente alla metà del XV secolo, con l’asse orientato Est-Ovest rispettosa peraltro del luogo dell’altare, che rimase quello originale.
In questa occasione viene segnalata la presenza della venerata immagine della Madonna “Mater misericordiae”, monoblocco scolpito da Nicolò da Venezia e forse proveniente dalla chiesa di San Marcello ai Filippini di Vicenza.
Dal punto di vista estetico-culturale vale il giudizio per l’insieme dell’opera del Borella di Franco Barbieri che fa notare la poca “sensibilità artistica” del Borella nei confronti dei progetti del Palladio, forse perché non sorretto da adeguata capacità.
Lo mostrano il brutto accostamento tra le due chiese, l’infelice innesto della cupola al coro della grande basilica, la ripetitività delle facciate simili a giganteschi altari. S
u queste linee muove il giudizio del Barbieri anche riguardo il campanile neoclassico, il refettorio dei Frati, ove campeggia la grandiosa Cena di San Gregorio Magno di Paolo Veronese (1572).
La basilica di Monte Berico, costruita nelle sue varie fasi col generoso concorso di tutto il popolo, è affidata in un primo tempo ai religiosi di Santa Brigida di Svezia e dal 1435 all’Ordine dei Servi di Maria i cui religiosi attendono con zelo e intelligenza alla cura del santuario e ne ufficiarono le numerose e frequentissime liturgie.
I religiosi sono meritevoli, tra l’altro, anche per la raccolta e valorizzazione di preziose opere d’arte e per la costruzione di un recente salone museale che raccoglie numerosi e pregevoli “ex-voto” e altre donazioni di alto valore artistico.
Ma possiamo dire che la basilica è tutta un contenitore di opere d’arte. La ricca decorazione interna è opera di artisti insigni dei quali solo qualche cenno è sufficiente per comprenderne il valore.
Addossate ai pilastri centrali, spiccano quattro grandi acquasantiere in bronzo e in marmo, opera di Orazio Marinali che, come scrive Renato Cevese, sa trarre dal lucido marmo “segrete trasparenze pittoriche”.
Del famoso scultore sono anche le quattro grandi figure di angeli sostenute da robuste mensole, a cui vennero aggiunti i candelabri allegorici dorati, efficaci segni per una visita giubilare per il loro significato spirituale.
Raffigurano infatti il Peccato, la Preghiera, la Penitenza, la Contemplazione.
La cantorìa sopra la porta centrale ed il grandioso prospetto dell’organo furono eseguiti su disegno dell’architetto Carlo Morseletto.
Nella vasta parete di fronte, sopra l’arco a sesto acuto che congiunge la chiesa barocca con l’antica gotica, si estende una grandiosa tela, opera insigne di Giulio Carpioni.
L’opera fu donata dai ricchi mercanti vicentini nel 1651.
La composizione presenta in epidosi pittorici di armonioso cromatismo, la Vergine che appare reggendo il Bambino tra figure di Angeli e tra gruppi allegorici di vicentini, il Podestà di Vicenza, Francesco Grimani che accoglie la notizia delle prodigiose apparizioni.
Un’altra meravigliosa tela sull’altare di destra è opera di Palma il Giovane con l’Incoronazione della Vergine sopra il Battista tra Santi.
Nell’altare di fronte, dedicato ai Sette Santi Fondatori c’era una tela di Alessandro Maganza del 1595, sostituita poi nel 1789 da altra di Nicolò Marcuola e in seguito nel 1888 da un’altra di Pietro Negusolo.
L’attuale è opera di Pietro Gagliardi coi Sette Santi Fondatori ai piedi della Vergine, “snervato manierista neoclassico”.
Meriterebbe una più dignitosa descrizione la Pietà di Bartolomeo Montagna (1500) sull’altare di fondo, a destra dell’altare maggiore.
Basti comunque richiamare l’opinione dei critici d’arte che nel giudicare questa opera la indicano tra le più riuscite del maestro, forse il suo capolavoro, per la composizione emotiva e per l’unità spaziale e cromatica dell’opera, dolcemente mossa nel paesaggio e nella collina rocciosa.
Lasciamo alla contemplazione l’immagine della Madonna di Monte Berico, la “Mater misericordiae” sul lato centrale della chiesa gotica a cassettoni lignei dorati.
Tra una cornice di fregi e luminarie, che ne costituiscono l’opportuna cornice, la statua della Madonna, solennemente incoronata nel 1900, rimane il centro devozionale e artistico della basilica di Monte Berico, punto determinante nella distribuzione planimetrica del complesso, ed espressione preziosa della fede dei vicentini e di tutto il popolo cristiano.
Le vie “sacre” che conducono a Monte Berico
Dopo la ricostruzione della basilica di Monte Berico (1688) secondo il disegno di Carlo Borella, è sorto il problema, peraltro sentito da tempo, di costruire un opportuno percorso che dalla città conducesse al santuario.
In precedenza si era pensato ad un porticato a colonne di pietra sormontato da archi, alla rustica, in prossimità della basilica, da alcuni studiosi attribuito al Palladio.
Nel XVII secolo il porticato era fatiscente.
Pertanto l’architetto Francesco Muttoni presentò alla cittadinanza un progetto di un porticato che accompagnasse i fedeli al santuario partendo da porta Lupia.
La composizione del porticato prevedeva quindi cappelle aperte e centocinquanta portici quanti sono i misteri e le Ave Maria del Rosario.
La proposta non fu subito accolta. Dopo qualche anno e col parere del prof. Palmi dell’Università di Padova, il progetto del Muttoni fu accolto con qualche variazione; i lavori, avviati nel 1741, ebbero una cappella speciale dedicata al Cristo Crocefisso a metà percorso, dove i portici deviano fino a scendere nei pressi dell’ingresso di Villa Volpe Brusarosco, all’inizio di stradella Casanova.
Il porticato, conclusosi nel 1748, della lunghezza di 700 metri, è stato più volte restaurato: in questo secolo, dopo le rovine della guerra 1915-18, e recentemente per provvedere alla necessaria manutenzione e per togliere le deturpazioni di alcune volgari iscrizioni di gente incivile.
Dal punto di vista religioso i portici sono importanti perché servono a disporre l’animo dei pellegrini alla preghiera e alla vera devozione che inizia durante il cammino e si attua nel santuario, secondo l’insegnamento del salmo “ante orationem para animam tuam” (prima di accostarti alla preghiera prepara il tuo spirito).
Dal punto di vista artistico il Muttoni, specie nelle cappelle mostra una dubbia reminiscenza scamozziana (R. Cevese) e, col suo ripetitivo allineamento architettonico rientra nell’ordine di un razionalismo illuminista della Vicenza del medio ’700 (F. Barbieri).
I portici collegano la basilica di Monte Berico alla città attraverso Campo Marzo, amena area verde da riutilizzare per la testata occidentale della città, come già progettava Francesco Muttoni nel 1713 e auspicano gli ambientalisti più noti (v. Giornale di Vicenza, Campo Marzo e la città, 24.3.1999 di Giuseppe Barbieri).
La seconda “via sacra” per Monte Berico è quella chiamata delle “Scalette” un tempo percorsa in ginocchio per giungere in preghiera e penitenza verso il santuario di Monte Berico.
L’uso di fare la “scala santa” è antichissimo: in Italia inizia da San Giovanni in Laterano, a Roma, sede dei papi fino al secolo XIV. (La scala romana si concludeva nella cappella pontificia nella quale sono stati recentemente rinvenuti e restaurati affreschi del VI secolo).
Le “scalette” di Monte Berico partono da piazzale T. Fraccon con l’Arco Trionfale, eretto, come dice l’iscrizione, nel 1595 da Giacomo Bragadin Capitano di Vicenza per la Serenissima, in onore della Beata Vergine Maria.
L’Arco venne costruito dagli Albanese, come certificano anche le statue della sommità; questi artisti d’altronde, in quegli anni lavoravano alla costruzione della chiesa detta del Gonfalone.
Le due statue dell’Annunciazione delle nicchie sotto l’arco, purtroppo danneggiate dagli eventi bellici, sono del Marinali. L’Arco Trionfale vanta la paternità del Palladio, come certifica Renato Cevese ed è opera monumentale, un gioiello architettonico.
La posizione un tempo incantevole è oggi purtroppo turbata dal turbinoso traffico viario che dimentica l’importanza del solenne Arco Trionfale delle Scalette della Madonna.
Attilio Previtali