Chiesa e chiostro del convento di San Rocco

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Chiesa e chiostro del convento di San Rocco Quasi addossata alle mura scaligere la chiesa di San Rocco non è tra le più conosciute di Vicenza, ma è una delle costruzioni religiose più interessanti della città.

Imboccando l’omonima contrà, il prospetto ne fa da fondale: l’equilibrata facciata nella sua semplice grazia, in ogni ora del giorno, ma soprattutto nei tardi pomeriggi primaverili, contro il cielo color lapislazzulo, non manca mai di stupire per la sua tranquilla bellezza.

La costruzione risale al 1485, nel luogo dove sorgeva un oratorio (secondo il Cevese), un’edicola sacra (secondo il Reato), entrambe già dedicate a San Rocco, protettore degli appestati.

La costruzione della chiesa venne deliberata dal maggior Consiglio l’11 maggio 1485 e la prima pietra fu posta il 16 maggio, poiché in città era scoppiata una nuova epidemia di peste. Nella cura della chiesa e dell’annesso convento, sorto qualche anno più tardi, si susseguirono i Canonici secolari di San Giorgio in Alga, già stanziati nell’abbazia di Sant’Agostino.

Nel 1670 furono sostituiti dalle Carmelitane calzate di Santa Teresa; sfrattate dal convento dai francesi, nel 1806 vi fu trasferito da San Marcello l’Ospedale degli esposti. L’architettura rinascimentale, non in uso negli edifici sacri vicentini, rimanda a Lorenzo da Bologna.

La facciata poggia su uno zoccolo basso con riquadrature di marmo verde e pietra rosa ed è conclusa da un timpano liscio. L’altezza è segnata da quattro lesene decorate da patere di marmo rosso e concluse da capitelli di derivazione ionica: tra le lesene si aprono due lunghe finestre.

Il portale è sorretto da pilastri e sormontato da un arco a mezzaluna con un affresco settecentesco raffigurante santa Teresa; pure del Settecento è la porta in legno.

Sopra al portale si apre un occhio, proveniente dal crollo delle logge nel 1495 del palazzo della Ragione e concesso dai deputati della città quando la chiesa nel 1530 venne prolungata, assumendo l’aspetto odierno.

I fianchi sono spaziati da alte lesene, che creano un rincorrersi di arcate, con la doppia funzione di contrafforti ed estetica.

L’abside poligonale poggia su un alto zoccolo diviso da pilastrini raccordati all’impianto poligonale.

Sul fianco sinistro la ruota, rimessa in funzione come documento storico, conferma le tristi vicende che per secoli si svolsero nel silenzio della solitaria piazzetta, quando madri infelici deponevano, in ore antelucane, i figli indesiderati.

Un colpo di campanella avvertiva le suore che un nuovo piccolo ospite entrava nell’orfanatrofio con il corredino, dove a volte era nascosto un piccolo segno di riconoscimento, pegno dell’amore di madri sventurate.

L’interno a una sola navata acquista preziosità per gli elementi decorativi.

La navata è scandita dal singolare coro pensile, che attraversa l’aula in larghezza, dominato, sul lato rivolto all’entrata della chiesa, da un grande Crocifisso ligneo del secolo quindicesimo.

Nella tela a baldacchino: posta dietro la Croce, sono rappresentati contro un cielo di nubi oscure Maria e San Giovanni che guardano il Figlio di Dio crocifisso.

Sempre sul lato verso l’ingresso il coro è affrescato con storie della vita di San Giorgio: nel riquadro di destra è rappresentata la scena di San Giorgio che decapita il drago, alla parte opposta la decapitazione di San Giorgio; tra i due riquadri monocromi ovali su fondo grigio e lunette a monocromo con Santi.

Nella parte inferiore gli apostoli Pietro e Paolo e due figure femminili: Giuditta e Esther, sempre racchiuse tra ovali.

Nel lato verso l’altare sono raffigurati i quattro Evangelisti e quattro Profeti, e se pur eseguiti da una mano sconosciuta, ogni volto è caratterizzato da espressioni diverse.

Nell’altare maggiore, uscito dalla bottega di Giovanni da Pedemuro, la pala “La Vergine e San Rocco tra gli appestati” è una buona copia novecentesca di Giuseppe Faccin, dell’originale di Jacopo Bassano, asportato in età napoleonica e ora alla pinacoteca milanese di Brera e sostituito in un primo tempo dalla “Vergine in trono” del Buonconsiglio (ora alla pinacoteca di Palazzo Chiericati).

Attenzione particolare merita il tabernacolo, piccola architettura seicentesca, preziosa per il contrasto dei colori nero, oro e grigio: l’oro scintilla nella cupola traforata, nelle cornici e nei tre cherubini alati.

Di pregio l’altare rinascimentale di San Rocco, che accoglie il gruppo ligneo del Santo, con San Giovanni.

Il presbiterio è arricchito da due grandi tele di Alessandro e Giambattista Maganza raffiguranti il Paradiso e l’Inferno.

Al centro del Paradiso sono raffigurate la Santissima Trinità e la Vergine.

Nell’Inferno i dannati ignudi e immersi in olio bollente sono tormentati da demoni che infieriscono su di loro con torce infuocate.

Altri dannati precipitano in una caldaia o in una voragine infuocata.

Al lati dell’arco del presbiterio a sinistra è l’altare dedicato a San Carlo Borromeo, a destra entro una nicchia è collocata una bella scultura lignea del quindicesimo secolo con la Madonna dal pallido volto appena rosato e avvolta in un manto dorato: la Madre tiene sul ginocchio sinistro il Bambino in veste d’oro.

Quattro gli altari ionici della navata, uguali nella struttura e nella forma. Primo altare a sinistra: “L’invenzione della vera Croce”, densa di figure sulle quali emergono sant’Elena e san Lorenzo Giustiniani. In basso, a destra si legge: “Presbiter Nicolaus Alidonius faciendam curavit”, il dipinto è attribuito a Giambattista Zelotti.

Secondo altare a sinistra: “Decollazione di Santa Caterina d’Alessandria”, attribuito al bresciano Pietro Morone. La scena è contenuta entro architetture cinquecentesche.

Primo altare a destra: “La Pentecoste” opera forse dello Zelotti, che impernia la scena intorno alla figura della Vergine, che spicca per i colori azzurro e rossastro delle vesti.

Annesso alla chiesa è il quattrocentesco chiostro che limita un gentile giardino, con al centro una vera da pozzo rinascimentale.

Sul lato occidentale si apre la Sala capitolare, ora sede dell’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa.

Sul lato meridionale, nell’antico refettorio ridotto nelle dimensioni, è visibile sulla parete orientale il grande affresco della Crocifissione, forse di pittore anonimo veneto del Cinquecento, venuto a contatto con la pittura umbra, questo si coglie soprattutto nel paesaggio che non denota caratteristiche dei maestri veneti.

Le specie arboree, per esempio, cipressi, olivi e cespugli sono propri dell’ambiente naturalistico dell’Italia centrale.

Si può datare questo affresco al 1530. Si deve comunque pensare che la sua vastità su tutta la parete corrispondeva all’ambiente ben più ampio del refettorio, dal quale nel primo Ottocento, vennero ricavati più locali.

Il campanile è di età più tarda della chiesa, sebbene si addossi innestandosi alla parete di questa.

Bibliografia

  • R. Cevese, E. Reato, La chiesa e il monastero di San Rocco in Vicenza, Editrice La Serenissima, 1996.
  • F. Barbieri, R. Cevese, L. Magagnato, Guida di Vicenza, Editrice SAT, Vicenza, 1953.