Chiesa e chiostri di Santa Corona

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Chiesa e Chiostro di Santa CoronaNel 1259 Ezzelino III da Romano moriva nel castello di Soncino, presso Cassano d’Adda, dove era stato ferito in battaglia mentre tentava di impadronirsi della città di Milano per coronare l’ambizioso sogno di formare uno stato dell’Italia settentrionale. Appresa la notizia della morte di Ezzelino, il vescovo Bartolomeo da Breganze partiva dalla Francia e, nell’inverno, attraversava le Alpi per raggiungere a Vicenza la sede episcopale che gli era stata assegnata dopo la morte del vescovo Manfredi.Bartolomeo da Breganze non aveva mai potuto entrare in Vicenza finché era in vita Ezzelino, che aveva il governo della città in qualità di vicario imperiale e negli ultimi anni della sua vita turbolenta aveva abbracciato la causa ereticale e nominato un vescovo cataro.

Alla morte di Ezzelino il vescovo era a Parigi, molto stimato dal re di Francia, Luigi IX, che aveva guidato una crociata e al suo ritorno nel 1254, aveva portato la Corona di Spine di Cristo, per conservare la quale fece erigere a Parigi la Sainte Chapelle, vicino alla cattedrale di Notre Dame.

Nel 1259 il re donò al vescovo Bartolomeo una Spina della Corona e un piccolo frammento di legno della Croce. Bartolomeo da Breganze, preso possesso della diocesi, donò la reliquia con la Spina ai confratelli del suo ordine del convento domenicano e per contenerla iniziò subito, nel 1260, in accordo con il Comune, la costruzione di una chiesa e, poco prima della sua morte, nel 1270, la inaugurò con il nome di Santa Corona della vera Spina.

Il tempio di Santa Corona, nella contrà omonima ha un aspetto gotico, secondo la tradizione dello stile lombardo, la facciata in pietra e laterizio è monofastigiata, con rosone. La facciata comunque è frutto di un rifacimento molto fedele all’originale, del secolo scorso.

Il convento dei Domenicani, attiguo alla chiesa, colpito da bombardamento aereo durante l’ultima guerra è stato in parte ristrutturato, recuperando il chiostro quattrocentesco, oggi sede del museo civico archeologico e naturalistico, mentre il più piccolo chiostro attiguo alla chiesa è irrecuperabile e la biblioteca quattrocentesca, attribuita a Lorenzo da Bologna è irrimediabilmente perduta.

L’interno del Tempio è a croce latina con tre navate sostenute da sei colonne e da quattro pilastri ottagonali. Per le opere che contiene si può ritenere un museo di arte sacra.

L’abside è arricchita dallo splendido altare maggiore, opera del fiorentino Antonio Corberelli, datata intorno al 1670, ornato da marmi e da intarsi di pietre dure. Nei vari riquadri sono rappresentati episodi sacri e motivi naturalistici. Ai lati sculture di angeli, di cui quattro firmate da Angelo Marinali.

Dietro l’altare, di notevole valore il coro ligneo del XV secolo: negli stalli sono riprodotti alcuni particolari di fantasia di contrade cittadine. Dall’altare maggiore si scende alla cripta, comunicante con la Cappella Valmarana, eretta nel 1597, di ispirazione palladiana, forse derivata da un disegno di Andrea Palladio. Una porta sulla sinistra dell’altar maggiore, conduce alla sacristia, presso la quale si trova la Sala capitolare, ricca di statue di beati e santi domenicani.

Nella chiesa sono famose soprattutto tre opere: il “Battesimo di Gesù”, l’“Adorazione dei Magi” e la “Madonna delle stelle”.

L’altare Garzadori (V altare a sinistra) contiene la pala del “Battesimo di Gesù” ed è opera di Giovanni Bellini, firmata e datata in un cartiglio sulla destra. Un silvestre paesaggio prealpino fa da scenario alla celebrazione del rito, con in primo piano le due figure di Cristo e di Giovanni Battista. Il lenzuolo bianco sembra assorbire il rosso della veste di una delle tre giovani figure femminili, che formano un incantevole gruppo sul lato sinistro, da dove assistono inginocchiate alla scena del Battesimo. Secondo la tradizione potrebbero essere i ritratti delle giovani figlie del committente della pala e dell’altare: il ricco mercante Garzadori che aveva promesso, se fosse tornato salvo dall’Oriente, di donare alla chiesa di Santa Corona un altare. Ornatissimo, l’altare che contiene la preziosissima pala, ha incastonati marmi colorati e pietre dure, raccolte, si dice, durante il viaggio dallo stesso Garzadori. L’altare con colonnine tortili, dorate e colorate, svolge superbamente la funzione di cornice preziosa ed esaltatrice per uno dei capolavori della pittura del primo Cinquecento veneto.

Altro capolavoro l’“Adorazione dei Magi” di Paolo Caliari, detto Veronese (1574), nella terza cappella a destra. La scena ha una costruzione diagonale, nella quale i tre personaggi orientali (in uno di essi si vuole raffigurato lo stesso pittore), splendidamente vestiti, rendono omaggio al Bambino in braccio alla Madre in trono, posto alla sommità di una gradinata. I tre però sono sovrani di corti europee del XVI secolo: i costumi infatti sono cinquecenteschi e il corteo sullo sfondo è una reminiscenza della discesa in Italia di Carlo V e della sua corte.

La “Madonna delle stelle” (IV altare a sinistra), è opera di incerta attribuzione, alla quale furono aggiunti il coro di angeli nella parte superiore e la veduta di Vicenza quattrocentesca, certamente opera di Marcello Fogolino. Questa veduta della Vicenza quattrocentesca è ripresa da sud, dalle pendici di Monte Berico e conferma la paternità dell’opera al Fogolino, confrontando la predella dello stesso pittore: “San Francesco riceve le stigmate tra i Santi Chiara, Pietro, Paolo e Bernardino” conservata alla Pinacoteca di Palazzo Chiericati. Il paesaggio ha riferimenti ben riconoscibili: è visibile, a sinistra, il campanile della chiesa dei Santi Felice e Fortunato, separata dalla città da un bosco, il torrione di Porta Castello, la cerchia delle mura medioevali a sud della città, con all’interno il Palazzo della Ragione prima del più tardo intervento palladiano, la torre Bissara e, sullo sfondo, le Prealpi venete.

Da ricordare ancora nel lato sinistro il gruppo marmoreo della Trinità del Krone (secolo XVI), l’altare Pagello (II altare), con la pala di Bartolomeo Montagna: “Maria Maddalena tra i Santi Girolamo, Paolo, Agostino e Monica. Bella la predella con episodi della vita di Maria Maddalena. Segue l’altare di Sant’Agostino con pala di Leandro Bassano, con il Santo che dispensa l’elemosina ai poveri.

La IV cappella a destra è la vasta cappella del Rosario, interamente affrescata da vari artisti di ambito maganzesco, con episodi di vita della Madonna, rappresentata nel gruppo scultoreo dell’altare con i Santi dell’ordine domenicano Tommaso d’Aquino e Caterina da Siena. I due dipinti delle pareti sono attribuiti a Giambattista Maganza e l’intero ciclo pittorico è in ringraziamento della vittoria veneziana della battaglia di Lepanto (1571).

Dalla porta sulla navata di destra si esce sul giardino, chiuso da cancellata, e che si affaccia su Corso Palladio e su contrà Santa Corona. E’ un ameno spazio verde, con antichi alberi e un prato molto curato, angolo singolare in una zona così centrale della città, unico giardino di cui si possa godere la vista dal Corso cittadino. Dal giardino si vede il bel campanile in cotto con aperture a bifora sui quattro lati. E’ coevo alla chiesa ed ha subito vari restauri.

Per la descrizione di questa veduta siamo partiti da una storia antica: dal dono della reliquia della Santa Spina da parte del vescovo Bartolomeo da Breganze. La cappella della Santa Spina si trova nel presbiterio, a sinistra dell’altare maggiore, e, data la preziosità della reliquia, ne contiene un’immagine fotografica, essendo l’originale gelosamente conservato all’interno del Tempio, in luogo più sicuro.

Il re di Francia aveva donato la reliquia della Spina entro una teca circolare dorata, con la raffigurazione delle tre Marie al Sepolcro, lavoro di manifattura francese della metà del secolo XIII, rara testimonianza in Italia dell’arte francese dell’epoca di Luigi IX.

Il reliquiario a forma di albero fiorito risale a una fase duecentesca, poco successiva a quella del medaglione niellato. Il fusto, con piede esagonale è di epoca tardo-gotica, tra XIV e XV secolo: le sei placchette in smalto traslucido su base d’argento inciso, a partire dalla figura posta in asse con la teca della Santa Spina rappresentano: Cristo in trono, San Bartolomeo, San Tommaso, San Domenico, San Pietro martire e San Luigi di Francia, quasi a illustrazione della storia della reliquia e a esaltazione dell’ordine domenicano.

Bibliografia

  • R. Schiavo, B. Chiozzi, Vicenza città nobilissima, Libreria G. Traverso editrice, Vicenza, 1993.
  • Restituzioni ’96, Banco Ambrosiano Veneto, 1994.
  • E. Chiesa, Vicenza città bellissima, Panda Edizioni, Padova, 1987.
  • D.Bortolan, S.Rumor, Guida di Vicenza, Tipografia pontificia San Giuseppe, Vicenza, 1919.