Piazza dei Signori

(Elisanna Matteazzi Chiesa)

Piazza dei SignoriLa Piazza dei Signori fino dai tempi più antichi è stata il cuore della città.

La storia sicuramente documentata di Vicenza inizia quando nel 498 a.C. la città divenne “Municipium” romano e assunse le caratteristiche viarie della civitas romana con i decumani e i cardini.

Il sistema viario si articolava sul decumano massimo, coincidente con una buona esattezza al nostro Corso.

Da sempre arteria principale cittadina, era parte della via Postumia che, attraversata la città da piazza Castello a S. Corona, piegava verso il Ponte sull’Astico, per dirigersi verso Opitergium (Oderzo).

I terminali della Postumia, una delle più lunghe vie romane, erano Genova ed Aquileia.

Il cardine massimo dall’attuale ponte San Paolo passava per la piazza e, imboccata pressapoco contrà del Monte, incrociava il decumano massimo e proseguiva verso la parte nord della città, lungo un tracciato che si suppone spostato a ovest rispetto l’attuale contrà Porti e ulteriormente spostato nella parte ultima ancora a occidente, per evitare la bassura del lago di Pusterla, allacciandosi alla strada che oggi proviene da Schio.

Il percorso del cardine, in piazza dei Signori, attraverso il tempo è stato sempre rispettato.

Nella piazza in età medioevale sorgevano due edifici di proprietà comunale, separati dal cardine e riuniti nel 1444 in una più grande fabbrica mantenendo il passaggio dalla “piaza picola” (piazza delle Erbe) alla plathea magna; Palladio stesso rispettò questo attraversamento quando, un secolo più tardi recinse con le logge il palazzo della Ragione.

Vicino alla piazza doveva sorgere il Foro, ma nessuna traccia è rimasta di quello che era il centro amministrativo e commerciale delle città romane.

Restano solo ipotesi più o meno avvalorate: il Foro abitualmente trovava la sua ubicazione all’incrocio tra il decumano e il cardine massimi: quindi si pensa fosse prossimo all’incrocio tra contrà del Monte, contrà Porti e corso Palladio.

Un’altra ipotesi lo situa a metà di contrà delle Morette per un ritrovamento archeologico di un tratto di selciato a tre metri di profondità dall’attuale calpestio stradale, ma nessuna prova certa  è emersa finora intorno alla sede della principale piazza della Vicenza romana.

Altra ipotesi dopo uno scavo, indica palazzo Trissino, attuale sede del Municipio.

Il nome di piazza dei Signori fu dato dopo la dedizione di Vicenza alla repubblica di Venezia (1404), perché i palazzi circostanti di proprietà comunale ospitavano il podestà, il capitanio, i magistrati della Serenissima repubblica.

Nella pianta del Peronio, la prima pianta topografica della città, datata 1481 e della quale l’etimo è incerto, (ma s’intende comunque con questo nome il comprensorio delle aree che formavano l’insieme delle piazze distribuite intorno agli edifici di proprietà comunale), l’area della piazza dei Signori veniva indicata come plathea peronii, in documenti seguenti viene denominata “piazza maggiore” (vedi Pianta angelica) o “piaza grande”.

La zona era limitata da un muro merlato.

Intorno alla piazza si aprivano piazzette e numerose vie, che ancora rimangono, mantenendo, alcune, inalterati i nomi medioevali: la Pescharia (contrà Pescheria vecchia), dove si teneva il mercato del pesce che veniva portato su barche da Venezia lungo il Bacchiglione.

Dalla Pescharia si passava alla “Piaza  del pesce menudo” (piazzetta Palladio) detta anche “piaza picola”, dove si vendeva pesce di minor pregio, pescato in acque vicine.

Dalla Pescharia due archi immettevano nel complesso delle garzerie, dove i tessitori locali venivano a fare raffinare i loro manufatti lanieri.

Seguiva la strada che va al Domo o contrà del Duomo: dopo il ’500 prese il nome di Muscheria, dai negozi dei muschiari, che sulla via aprivano le loro botteghe di guanti e profumi. Seguivano la via della Rotta, dove esercitavano i notai (stradella dei Nodari): rotta sta per ruota, insegna del Collegio dei notai.

La Contrada dei Zudei (contrà Cavour) era il ghetto abitato da ebrei che esercitavano il prestito.

Seguiva la contrà del Capitanio (contrà del Monte), perché correva lungo l’antico palazzo del Capitanio e l’abitazione torre già della famiglia Verlato, ampliata con una loggia verso la piazza.

Della torre “Verlata”, mozzata, resta il segno a fianco della palladiana Loggia Bernarda, su contrà del Monte.

In successione partivano la via della Malvasia (contrà delle Morette, dove un’osteria molto frequentata oggi ha ripreso l’antico nome); la contrada delle vetture (contrà Manin), con le botteghe dei sellai, dei maniscalchi, degli artieri ippici e con la posta per le carrozze e il cambio dei cavalli; la “contrada di S.to Eleuterio” (contrà Santa Barbara), dove sorgeva la chiesa di S. Eleuterio, una delle sette cappelle urbane, costruite tra il IV e il VI secolo e che nel XIII secolo divennero le sette parrocchie cittadine.

L’ultima parte della piazza era la “piaza dela biava e del vino”, dove si tenevano i mercati della granaglie e delle sementi e del vino. Qui sbucava la stretta via dei Servi.

Dalla parte opposta si accedeva al “mercatus vetus” (piazza delle Erbe) dove si teneva il mercato della frutta e della verdura.

La piazza e le zone adiacenti erano dunque la zona commerciale della città e botteghe si aprivano sia sotto il palazzo del Comune che sul lato a fronte.

Della piazza dei Signori quattrocentesca conserviamo importanti documenti pittorici: in un particolare dello sfondo della “Pietà” di Giovanni Bellini alle veneziane Gallerie dell’Accademia: sono riconoscibili il torrione di Porta Castello, la torre di piazza, la facciata della cattedrale, il palazzo della Ragione di Domenico da Venezia, senza le logge del Formenton, terminate entro il 1496.

Nella parte inferiore della pala de “La Madonna delle Stelle” di Marcello Fogolino, nel tempio di Santa Corona, la città è vista da sud con il Retrone che scorre sotto le mura e il ponte Furo sotto la cinta muraria medioevale.

Si vedono inoltre il torrione del Duomo, la torre di piazza, la torre del Tormento e il palazzo della Ragione con le logge del Formenton.

Lo sfondo si ripete nella predella al museo civico: “San Francesco che riceve le stigmate”, (mentre la pala è ora al Museo di Stato di Berlino), sempre del Fogolino, con il palazzo della Ragione con le logge gotico-quattrocentesche, l’ampio corso del Retrone e il ponte Furo sotto la prima cinta muraria.

La piazza dei Signori, elegante e signorile, ha mantenuto attraverso i secoli le sue caratteristiche di centro cittadino: questa era la zona a sud del decumano massimo deputata ai commerci e alla vita pubblica, mentre la parte nord aveva e ha mantenuto un carattere più privato e residenziale.

I monumenti più importanti della piazza, volgendo le spalle al lato occidentale, dove un gruppo di case e di terrazzini, arrampicati l’uno sull’altro danno un tocco di vecchio borgo sono, a partire da destra: la basilica palladiana, la torre comunale, il palazzo comunale degli uffici.

Sul fondo la piazza è divisa dall’attigua piazza Biade da due colonne, ricordo del dominio veneziano (dalla dedizione a Venezia – 1404 – alla pace di Campoformido – 1797 – con la quale Napoleone cedette Venezia e i domini della Serenissima all’Austria).

Il lato sinistro è occupato dal lungo prospetto del palazzo del Monte di Pietà, interrotto dall’apparato che ingloba la piccola chiesa di San Vincenzo; ultimo, insigne edificio, la Loggia del Capitanio.

L’architettura che sovrasta con la sua imponenza è la basilica palladiana: questo celebre monumento è il coagulo, il riassunto di una società, vicenda di una secolare stratificazione.

Secondo il Regesto del 16 gennaio 1262 il Comune possedeva verso l’attuale piazzetta Palladio il Palatium vetus – prima sede del Comune vicentino, autonomo intorno alla metà del secolo XII – distrutto da incendi e modificato da rifacimenti e il Palatium Communis costruito nel secolo seguente.

Già dal 1211 il Comune aveva acquistato l’attiguo palazzo della famiglia Bissari, come dimora del podestà.

Nel 1444 si prese la decisione di riunire il Palatium vetus e il Palatium communis.

Domenico da Venezia portò a termine il collegamento tra i due edifici con poderose volte, creando un grande salone superiore, che portava al palazzo del Podestà attraverso la preesistente scala del 1307.

A livello stradale i passaggi permettevano la libera circolazione.

Questo edificio, sormontato dal tetto a carena rovesciata e lo zoccolo, rivestito di lastre marmoreee gialline e rosse, sarà l’involucro che nel secolo seguente Andrea Palladio impreziosirà delle logge a serliana.

Il palazzo era già stato circondato da Tommaso Formenton tra il 1481 e il 1495 da un doppio ordine di logge nello stesso stile gotico dell’edificio interno.

Mercoledì 20 aprile 1496, appena un anno e mezzo dopo il termine dei lavori, precipitò tutto l’angolo della loggia verso la Pescaria, rovina annunciata per errori di calcolo nella costruzione.

Subito si pensò a un nuovo loggiato, utile sia come sfogo al grande salone superiore, sia come riparo al piano terra, per i cittadini che frequentavano i banconi di varie mercanzie e le numerose piccole botteghe, quelle che ancor oggi caratterizzano la parte inferiore dell’edificio.

Da Venezia venne Antonio Rizzo, impegnato in palazzo Ducale e, dopo attento esame, consigliò l’abbattimento totale delle logge a favore di un suo progetto, non lontano da quanto lo stesso architetto stava portando avanti nel cortile di palazzo Ducale.

La spesa fu giudicata troppo onerosa e si pensò a un semplice rafforzamento delle strutture, specie negli angoli.

Questa volta il rimedio parve troppo semplicistico e prevalse il parere di una nuova recinzione, affindandone il progetto al Rizzo.

L’architetto però, accusato di peculato, dovette fuggire da Venezia e il Consiglio cittadino si rivolse allo Spaventa.

La Lega di Cambrai, costituita nel 1508 da papa Giulio II, dal re di Francia Luigi XII, dall’imperatore Massimiliano, da Ferdinando il Cattolico, dal re d’Ungheria, dal marchese di Mantova e dai duchi di Savoia e di Ferrara, riuniti per mettere termine alla preoccupante espansione di Venezia, frenò gli entusiasmi artistici e architettonici nel Veneto: i territori della Serenissima, dopo la sconfitta di Agnadello d’Adda, il 14 maggio 1509 videro gli eserciti della Lega oltrepassare i confini veneziani, compiendo stragi e devastazioni.

Rioccupati i territori, dopo il 1516 Venezia potè ricostruire il dominio in terraferma in una riconquistata tranquillità. A Vicenza si tornò a pensare alle logge e furono interpellati gli architetti più famosi del tempo: Sansovino, Sebastiano Serlio, Michele Sanmicheli, fino al famosissimo Giulio Romano.

Nel 1546 cominciò a circolare il progetto firmato da Giovanni da Pedemuro, lapicida, con bottega molto nota in città, e da un suo collaboratore, già autore di interessanti architetture (palazzo Civena e la villa Valmarana di Lonedo).

Dei tre progetti presentati al Consiglio cittadino l’II aprile 1549, quello più vecchio dello Spaventa, quello di Giulio Romano e quello di Andrea Palladio, appoggiato da Alvise Valmarana e da Girolamo Chiericati, la scelta del progetto palladiano, con 99 voti favorevoli e 17 contrari, decise non solo la sorte di un palazzo ma il futuro artistico della città.

Da questo momento, Andrea Palladio, nome avuto dal suo protettore, l’umanista Giangiorgio Trissino, non è più Andrea della Gondola, padovano, ma diventa l’architetto vicentino di una società nobiliare, che insegue il sogno di una perduta classicità, identificata nel mito del potere imperiale.

Andrea Palladio compie quindi una reintegrazione dell’immagine del vecchio palazzo di Domenico da Venezia, inserendolo in una nuova unità figurativa e sceglie, contenuta tra le imponenti colonne doriche e ioniche del primo e secondo ordine, la serliana, che riassume più elementi classici: arco, architrave e colonna.

Il modulo della serliana si ripete lungo i tre lati del palazzo, adattandosi con misure diverse, ma inavvertibili, alle aperture gotiche del precedente edificio.

La basilica palladiana (il nome di basilica fu dato dallo stesso Palladio prendendo a prestito il nome dalle basiliche romane, edifici pubblici, non religiosi) come noi oggi la vediamo, è uno dei più grandi esempi di restauro di tutti i tempi, dove il nuovo e l’antico sono accostati organicamente mantenendo due momenti e due ritmi diversi.

Le logge furono ultimate nel 1614; nel piano superiore un solenne arco preceduto da una breve scala porta al palazzo del podestà, ricostruito nel 1622.

Di Andrea Palladio è pure la scala poligonale, che supera il dislivello e collega piazza dei Signori con piazza delle Erbe.

Distrutto da un bombardamento il 18 marzo 1945, l’attuale palazzo degli uffici è opera degli anni ’50.

Fiancheggia la basilica palladiana la svettante torre (acquistata dal Comune dalla famiglia Bissari nel 1226).

La torre è alta poco meno di novanta metri, la cella campanaria, adornata di bifore gotico-fiorite fu aperta nel 1311 e nel 1444 fu innalzata la torricella poligonale.

La piazza dei Signori è divisa da piazza delle Biade dalle due colonne veneziane con il leone di San Marco e il Redentore.

La colonna del leone venne scolpita da Giovanni Antonio da Milano e innalzata nel 1464.

Su questa il leone, opera dello stesso scultore, verrà posto nel 1473.

Il leone verrà abbattuto nel 1509, quando le milizie della Lega entrarono in città.

A pace conclusa, e ritornata la città ai veneziani, nel 1519 fu sostituito un nuovo leone.

La colonna del Redentore, innalzata nel più tardo 1640, è opera di Antonio Pizzocaro, mentre la statua del Redentore è della bottega degli Albanese, capitelli e statue erano dorati.

Di fronte alla basilica palladiana si dispiega il lungo prospetto del palazzo del Monte di Pietà, che ingloba la medioevale chiesetta di San Vincenzo, che fu già patrono principale della città, oggi sotto la protezione della Madonna di Monte Berico.

Il Monte di Pietà era stato istituito, primo nel Veneto, dopo l’espulsione degli ebrei, tramandata in uno scritto di autore anonimo: “1486, 12 di zugno.

Furono cacciati fuori dalla Vicenza et Vicetino tutti li giudei maschi et femine, perché non dassero più usura, né potessero più comprare li pegni dei poveri houmini, né rubassero più il sangue dei poveri christiani per occasion de la peste che era in Vicenza.

E subito fu fatto nella città un banco per el Comun che si dimanda il Monte de la Pietà, il quale banco fu tenuto nella chiesa di S. Vincenzo”.

Queste righe ci dicono parecchie cose: che a Vicenza, come nelle altre città gli ebrei praticavano, pesantemente, l’usura, che la Chiesa proibiva ai cristiani.

A Vicenza gli ebrei furono presenti fino dalla metà del 1300 e risiedevano nel ghetto vicino alla piazza, come abbiamo già avuto occasione di scrivere, nella contrà dei zudei.

Peraltro non furono mai numerosi e lo indica la mancanza in città di una sinagoga.

Ancora apprendiamo che era un anno di peste e le epidemie impoverivano i cittadini costretti a ricorrere al prestito.

Un’altra notizia che ricaviamo è il pronto intervento del Comune nel venire in aiuto ai bisognosi, istituendo un banco di pegni e infine sappiamo che i prestiti venivano concessi nella chiesetta di San Vincenzo contro un pegno, ma, nei primi tempi, senza la richiesta di interesse; fu dal 1494 che il Monte vicentino richiese, per i prestiti superiori ai cinque soldi, l’interesse annuo del 5%, per scendere nel 1547 al 4%.

Il deposito degli oggetti dati in pegno era situato in locali a piano terra del palazzo della Ragione, sottostanti all’angolo del crollo delle logge.

Avvenuto il crollo i conservatori della Pia Opera, costretti a traslocare, nel 1499 decisero di costruire sopra le botteghe già esistenti alla sinistra della chiesetta di San Vincenzo, la sede del Monte dei Pegni, prima forma di istituto bancario di credito, terminata l’anno successivo.

Tra il 1553 e il 1557 il palazzo fu ampliato fino a contrà Manin, risultando così di due ali uguali che inglobavano la trecentesca chiesa di San Vincenzo.

Un ballatoio, retto da mensoloni, corre lungo l’intera facciata con evidenti influssi lombardeschi del primo Rinascimento vicentino tardo quattrocentesco, nelle arcatelle sovrastate da piccole aperture centinate, corrispondenti a un ammezzato.

La decorazione della facciata fu affidata a Giambattista Zelotti. Scomparsa la decorazione originale, un nuovo manto pittorico fu dipinto dal perugino Domenico Bruschi tra il 1907 e il 1909, riprendendo dalla Bibbia le storie di Mosè.

Particolare curioso nella vita del primo Novecento vicentino: circolava un fermento liberty: tolte le armature ai cittadini si presentarono tra personaggi sacri, esili figure femminili danzanti in nude castità.

Il perbenismo vicentino fu messo a dura prova, un foglio cattolico esortava i benpensanti a evitare la passeggiata in piazza dei Signori, diventata luogo di scandalo, finché le forme femminili vennero ricoperte di tenui veli per porre fine a una disputa di provincia scoppiata tra clericali e anticlericali.

Deboli tracce del gustoso episodio sono ancora visibili nel sottotetto.

Tra le due ali del palazzo, la chiesetta di San Vincenzo spariva in una architettura tanto più appariscente.

La data di costruzione dell’edificio sacro si fa risalire intorno al 1387, era orientato con l’altare maggiore a est e l’ingresso a ponente, con un’entrata laterale dalla piazza, preceduta da un porticato, ancora visibile con altri resti della primitiva struttura.

Uno solo era l’altare, dedicato a San Vincenzo.

Pochi anni dopo furono aggiunti tre altari.

La forma originaria mutò nel 1500: l’ingresso principale fu aperto sulla piazza.

All’inizio del ’600 il prospetto gotico venne mascherato dal ricco apparato che lega le due ali del palazzo del Monte, su progetto di Paolo Bonin.

Dalla bottega dell’Albanese uscirono le cinque statue a coronamento della facciata, mentre il gruppo della Pietà è considerato il capolavoro di Giovambattista Albanese.

Le cinque statue rappresentano i santi Vincenzo, Leonzio, Carpoforo, Felice e Fortunato. La prima di sinistra è originale.

All’interno oltre l’arco nel secondo corpo della chiesa, aggiunto nel 1500, l’altare di marmo della Pietà è pregevolissima opera di Orazio Marinali, eseguita nel 1689.

Sette putti sorreggono il drappo di marmo nero che si apre sulla dolente Madre china sulla figura del Cristo.

L’altare maggiore con la pala di San Vincenzo di Antonio Balestra fa parte del settecentesco elegante sacello ottagonale del Muttoni, definito tutt’intorno da un ordine dorico.

Il palazzo del Monte dispiega su contrà del Monte il monumentale prospetto di Francesco Muttoni, edificato per accogliere la sede della Biblioteca Bertoliana (iscrizione in una cornice del fastigio).

La biblioteca prende il nome da Giovanni Maria Bertolo, giureconsulto e uomo di lettere, nato a Vicenza nel 1631. Portatosi a Venezia gli fu conferita la carica di Giureconsulto. Morì nella città lagunare nel 1707; non aveva mai peraltro abbandonato la città natale, dove si era fatto costruire sul colle di San Bastian una casa di campagna con la vicina chiesetta di Santa Caterina al Porto, proprietà acquistata dai Valmarana, che nel ’700 resero famosa la villa e la foresteria chiamando Giovanni Battista e Giandomenico Tiepolo ad affrescarle.

Senza eredi il Bertolo, già in una lettera del 4 settembre 1702 ai deputati vicentini, dichiarava la disposizione a regalare la sua ricca e preziosa biblioteca alla città di Vicenza, previa la dovuta garanzia che venisse trovato un “vaso” degno di riceverla.

La trattativa fu lunga e laboriosa, condotta con la mediazione del nunzio Girolamo Thiene. Fu scelta la sede del Monte di Pietà, sul lato verso contrà del Monte.

Verso la fine del 1703 l’opera fu commissionata a Francesco Muttoni e la biblioteca fu aperta ai cittadini nell’agosto del 1708 e rimase in tale sede per due secoli, fino al 1908 quando fu trasferita nel seicentesco convento dei padri somaschi, in via Riale.

Francesco Muttoni ha unito nella facciata le caratteristiche di un edificio sacro (Monte di Pietà) e civile (biblioteca) e ha creato un edificio originale con ingresso a serliana dissociata. Imponente è anche l’atrio, dal quale parte lo scalone a sei rampe.

L’ultimo solenne edificio che chiude la piazza è la Loggia del Capitanio, il secondo monumento civile di Andrea Palladio.

Invero non delimita completamente il lato settentrionale della piazza, fino alla via Cavour, come era previsto nel progetto, che presentava non una, ma ben cinque arcate modulari.

La proposta di risistemare o di sostituire la vecchia loggia scaligera della quale faceva parte anche la torre della famiglia Verlato, confiscata ai Verlato, accusati di aver partecipato a una congiura contro i signori di Verona, con un nuovo palazzo fu decisa nel 1565 e se pure non si trovano notizie d’archivio in merito, la paternità al Palladio non è mai stata contestata ed anzi è suffragata da un’iscrizione scolpita sotto il poggiolo laterale: “Andrea Palladio I(nventore) archit.”.

E’ detta anche Loggia Bernarda perché venne dedicata al prefetto Giambattista Bernardo.

Tre archi separati da colonne composite a ordine gigante immettono in un severo portico. Un atticino chiude la parte superiore.

A differenza delle logge della basilica per le quali fu usata la pietra, nella loggia del Capitanio Palladio si servì di mattoni, materiale che l’architetto preferiva e che usò molto, ottenendo splendidi risultati, specialmente nelle ville.

Il lato verso contrà del Monte è concepito come un arco di trionfo dedicato alla vittoria veneziana della battaglia navale di Lepanto (1571).

I tre finestroni, che si aprono sui balconcini, danno sulla sala Bernarda, oggi sede del Consiglio comunale cittadino, e collegata internamente a Palazzo Trissino su corso Palladio, sede municipale, opera di Vincenzo Scamozzi.

La sede municipale occupa quindi l’intero blocco tra Piazza dei Signori, contrà Cavour, corso Palladio, comprendendo casa Alidosio su corso Palladio (una delle più importanti costruzioni del primo ’500), torre Verlata e Loggia del Capitanio.

Bibliografia

  • Bortolan, Rumor, Guida di Vicenza, Tip. Pontificia Vesc. S. Giuseppe, Vicenza, 1919.
  • G.Peronato, Vicenza la città dei palazzi, Ed. Peronato, Vicenza, 1935.
  • G.P. Marchini, Vicenza romana, Fiorini, Verona, 1978.
  • A.a.V.v., Vicenza, aspetti di una città attraverso i secoli, Ed. da EPT, Vicenza, 1983.
  • E.Motterle, Il Peronio di Vicenza nel 1481, a cura di Franco Barbieri, Ed. Ente Fiera di Vicenza, Vicenza, 1973.
  • F.Barbieri, La Basilica palladiana, vol. 2 del Corpus palladianum, Ed. Centro internazionale di studi di architettura ‘Andrea Palladio’, Vicenza, 1968.
  • A.Venditti, La loggia del Capitanio, vol. 4 del Corpus palladianum, con appendice sulla decorazione pittorica di Franco Barbieri, Ed. Centro internazionale di studi di architettura ‘Andrea Palladio’, Vicenza, 1969.
  • A.a.V.v., Il Monte di Pietà di Vicenza 1486-1986, G. Rumor editrice, Vicenza, 1986.