L’editore Gilberto Padovan, invitato dal Rotary Club Contarini, ha presentato il grande panorama di Padova.
E’ un desiderio antico quello di voler completare dall’alto una città tutta intera,un desiderio che solo noi moderni, viaggiando con l’aereo, siamo riusciti ad appagare. Un tempo erano i pittori o gli incisori a fornire vedute panoramiche, più o meno vicine al vero. Per Padova questo tipo di produzione iconografica si può far cominciare dall’immagine trecentesca della città, cinta dalle turrite mura carraresi, che Giusto de’ Menabuoi affrescò nella cappella Belludi della Basilica del Santo e si può considerare interrotta nel 1856, dopo la veduta prospettica del Putti. Causa determinante di tale interruzione fu l’avvento della fotografia, potente e sicuro mezzo di documentazione, che fece perdere l’interesse per la stampa panoramica.
A riprendere la tradizione iconografica, dopo il vuoto di un secolo e mezzo, viene ora, con encomiabile iniziativa, l’editore vicentino Gilberto Padovan che presenta una preziosa stampa, in cui il valore artistico si assomma e fonde con quello documentario.
Il panorama di Padova misura un metro e quaranta centimetri di larghezza e settantacinque d’altezza: dimensione che assicura, già per se stessa, un eccezionale effetto visivo e un primato storico. A rendere ancora più pregevole e piacevole la tavola, contribuisce la carta, composta secondo una formula speciale, voluta dall’editore stesso, con tiratura limitata.
Sergio Bettini scriveva che per leggere e capire la “forma urbis”di Padova – come quella di ogni città in espansione – bisogna osservarla da una certa altezza, così che la nostra vista possa abbracciare non solo il fitto nucleo urbano tradizionale, ma anche la periferia. Si può dire che Padovan abbia fatto suo il punto di vista raccomandato da Bettini, ritraendo “a volo d’uccelllo”- come si diceva un tempo – la città che la leggenda vuole fondata dal mitico Antenore, con la minuziosa precisione del sottile disegno a china, con la passione e l’infinita pazienza degne di un antico miniatore quale Guido Albanello.
L’impegno, che il disegnatore Guido Albanello ha messo nel raffigurare l’insieme dei dettagli, fa si che la tavola sia un documento storico in bianco e nero della situazione urbanistica e architettonica di Padova dell’inizio del terzo millennio. La città dell’artista è quella “ferma” delle architetture, delle vie e delle piazze, non quella “in movimento” della folla e del flusso automobilistico. Nitore e limpidezza dominano la visione, in cui la realtà e resa con effetto iperrealistico, esaltato con l’uso di una luce non fenomenica, ma metafisica.