Piante e mappe storiche di Vicenza e provincia

Alcune mappe di Vicenza e del suo territorio, realizzate su carte d’arte, in tiratura limitata.

  1. Pianta di Vicenza di Giandomenico Dall’Acqua (1711)
  2. Mappa Topografica del Territorio Vicentino, attribuita a Giovanni Merlugo (1788)
  3. Pianta di Vicenza di F. Crivellari (1821)
  4. Mappa topografica del Territorio Vicentino di Marco Boschini (1676)
  5. Pianta di Vicenza (Angelica) affresco conservato nelle Gallerie Vaticane (1585)
  6. Pianta di Vicenza ( Angelica) di  Giovanni Battista Pittoni (1580)
  7. Pianta di Padova – affresco conservato nelle Gallerie Vaticane (1585)

Presentazione della Mappa Topografica del Territorio Vicentino (attribuita a Giovanni Merlugo) 1788

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Video-guida alla città di Vicenza  di Giuseppe Barbieri

Giuseppe Barbieri

Mappa Topografica del Territorio Vicentino (attribuita a Giovanni Merlugo) 1788

[…] Per poter comprendere il senso di questo grande e intrigante disegno (mm 2000×1000), appena consunto nei bordi destro e superiore, che Gilberto Padovan ha sottoposto alla mia attenzione alcuni mesi fa, chiedendomi di presentarlo per questa moderna, anastatica, edizione è assolutamente necessario – tanto più in un caso come questo, in cui scontiamo l’assenza di esplicite rivendicazioni autoriali e di precisati termini cronologici – inserire
quest’immagine in una ordinata sequenza, di segni precedenti e coevi. […] La Novam hanc et accuratissimam Territorii Vicentini descriptionem, la carta che Filippo Pigafetta pubblica nel 1608, rivela una commendevole accuratezza cartografica nella raffigurazione del territorio; e ha inoltre il merito di costituire un pivot alternativo di rappresentazione: l’esito del foglio pigafettiano fissa infatti, in sostanza, ciò che potremmo definire una sorta di canone centripeto di rappresentazione, frutto di un’attenzione ripiegata sui precisi contorni della porzione di Stato veneto soggetta, in forme diverse, mediante cioè podesterie e vicariati, al capoluogo berico: che merita non casualmente, in basso a sinistra, una specifica raffigurazione in un ortogonale cartiglio. Anche la mappa che dobbiamo considerare in questa circostanza riprende ed evidenzia tale canone centripeto. Per cui non risulterà inutile rammentare quali fossero state, dopo la pubblicazione del disegno di Filippo, le successive rappresentazioni del territorio berico da esso derivate. […] La più importante ma in vero pressoché unica ripresa dell’impostazione pigafettiana, nel corso e nel prosieguo del XVII secolo, è certamente Il Territorio Vicentino delineato da Angelo Giovanni Novello e inciso, verso il 1676, dal grande conoscitore veneziano Marco Boschini, impegnato, proprio in quella fase, nel capoluogo berico nella redazione dei Gioieli Pittoreschi, fondamentale guida, per tanti versi, alle pubbliche pitture della città di Vicenza. Poi tuttavia essa riaffiora, e con una certa insistenza, nell’ultimo quarto del XVIII secolo – dopo una lunga sequenza di immagini grandangolari, regionali, a campionare l’intera area dal Garda alla Laguna -, soprattutto in due incisioni che ci conducono ormai, cronologicamente, nei pressi della nostra mappa: si tratta del Disegno topografico del Territorio Vicentino del pubblico perito Giovanni Merlugo e de Il Vicentino con i suoi Vicariati e Podestarie di Giuliano Zuliani. Quest’ultima dicitura – che sottolinea con adeguata evidenza come l’attenzione che abbiamo definito centripeta si concentrasse ormai, nell’ultimo periodo di vita della Repubblica Serenissima, quasi in uno zoom ravvicinato, sulle interne articolazioni amministrative del territorio berico – trova in effetti ampio riscontro nella mappa che qui pubblichiamo: dove, con qualche limitata eccezione, è agevole riconoscervi una precisa insistenza, per esempio nell’impiego del maiuscolo a designare le sedi vicariali o podestarili interne alla provincia. In qualche modo potremmo insomma dire che la nostra mappa appare come una sorta di anticipata epitome grafica della poderosa Storia del territorio vicentino che il padre Gaetano Maccà da Sarcedo pubblica in 14 tomi, a Caldogno, tra 1812 e ’16, nel momento conclusivo del dominio francese sulle terre un tempo spettanti alla Serenissima. Chi volesse leggere la premessa alla sua Storia (concepita originariamente come una Descrizione) potrà cogliere un’attenzione quasi maniacale all’interno stratificarsi del territorio provinciale in unità amministrative periferiche, per le quali vengono raccolte notizie, prime apparizioni archivistiche, compilati minuti stemmi a sancire la reciproca appartenenza ai singoli vicariati delle diverse ville. Sintomatico risulta altresì il lungo riporto di un documento, riferito a un non meglio precisato archivio, in cui vengono dettagliati i confini del comprensorio berico e le distanze dei centri minori dal capoluogo; minuzioso, allo stesso modo, si rivela l’elenco che allinea le due podesterie, i ben quattordici vicariati e ribadisce l’estraneità al Vicentino non solo del bassanese, ma anche della Reggenza dei Sette Comuni. Il che corrisponde a quanto osserviamo nella nostra mappa: dove la scritta che indica la porzione di spettanza dei Sette Comuni risulta in qualche modo separata dal resto del territorio provinciale, e la città di Asiago inscritta in carattere minuscolo rispetto a quello adottato per i centri vicariali o per i maggiori centri contermini. Possiamo entrare ormai in un esame più dettagliato della nostra mappa, un disegno a penna su carta intelata, con colorazioni ad acquerello; un largo segno ocra – giallo nella designazione della legenda in basso a sinistra, legenda che anticipiamo (ma riprenderemo in seguito la questione) di scarsa e problematica pertinenza rispetto alla concreta resa della carta – ritaglia il perimetro dei confini provinciali, e rivela all’interno la maglia fitta delle vie di collegamento, di un giallo meno scurito dal tempo; un blu deciso scandisce i corsi d’acqua, mentre risulta assai più sbiadito nel mostrare le masse dei laghi, in particolare per quello di Caldonazzo, nel contado del Tirolo, o per quello, quasi bianco, di Lavarone; in nero le scritte dei toponimi, in rosso gli schematici accenni ai diversi tessuti urbani, che si limitano nella maggior parte dei casi a un tratto convenzionale, ma senza il ricorso a profili di torri o di campanili. Un cenno specifico merita il contorno del capoluogo, a mezza via tra una veduta a volo d’uccello e una ripresa più aggiornata, zenitale, come quella inaugurata da Gian Domenico Dall’Acqua nella Vicenza del 1711: a conferma della lunga, secolare persistenza, nel codice cartografico, di esiti consacrati, l’impianto di rappresentazione della città non si discosta poi troppo da quello proposto, alla fine del Cinquecento, da Giovanni Antonio Magini, che pure aveva conosciuto, nel corso del XVII sec., alcune significative e aggiornate integrazioni, come per esempio nel Territorio di Vicenza dei fratelli Cornelis e Joan Blaeu. Viceversa, diversamente dai prototipi cinquecenteschi, appare invece di ben più accurata resa il profilo orografico del territorio, anche rispetto ai moduli prescelti da Pigafetta, da Coronelli, da Novello e Boschini, come pure dalla Topografia palladiana che Francesco Muttoni pubblica nel 1739. Si tratta di un indizio sufficientemente eloquente per provare, in prima approssimazione, a datare il foglio in oggetto. Per quanto una capillare esplorazione dei fondi di mappe, in deposito tanto alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza quanto all’Archivio di Stato di Venezia, non abbia consentito di rintracciare altri segni perfettamente confrontabili con questo, ossia una intera serie di mappe che rendesse più chiara la funzione della legenda, e sebbene non risultino in realtà affatto frequenti rappresentazioni manoscritte, prive cioè di un successivo riscontro a stampa, di un intero territorio provinciale, va detto comunque che quelle più pertinentemente confrontabili con la nostra spettano al XVIII sec. […] Rispetto ad altre incisioni, per così dire, ufficiali, questa mappa riporta una serie di lemmi di natura eminentemente, ma non esclusivamente, fiscale. Tale tipo di elementi compaiono in realtà su altri tipi di carte, ma con maggiori e più puntuali specificazioni rispetto alla vasta gamma che rintracciamo nel nostro disegno: così, per esempio, in una circostanza possiamo veder comparire le stazioni di posta, in altre gli appostamenti dei funzionari dei Provveditori alla Sanità, volti a controllare le conseguenze del passaggio su suolo veneto delle truppe imperiali, in altre ancora scorgere tratteggiata con nettezza la linea di confine tra stati nazionali, contrassegnata da un colore rosso, così come dichiara, senza però adempirvi, anche la nostra problematica legenda. In ulteriori circostanze possiamo invece scorgere tratti di strada o porzioni di canale, per sottolineare specifiche esigenze o per confermare gli esiti di interventi di manutenzione. Per tornare a una cartografia meno funzionalmente indirizzata, e cioè ancora di registro, per così dire, ufficiale, un confronto assai più probante è quello che si può stabilire con le due incisioni in rame tardo-settecentesche citate in precedenza, e che riguardano, per l’appunto, il territorio berico. E mentre Il Vicentino diviso ne suoi Vicariati e Podestarie di Pitteri e Zuliani, realizzato per l’Atlante novissimo del libraio editore Antonio Zatta, risente di non lievi imprecisioni nella dislocazione di tutta una serie di toponimi, a cominciare dagli immediati sobborghi del capoluogo, e adotta evidenti stereotipi nei deittici impiegati per indicare i maggiori centri abitati della provincia, il disegno di Giovanni Merlugo – da cui deriva, nel 1775, l’incisione di Domenico Armani – sembra fissare invece un parallelo assolutamente confrontabile con la nostra mappa. Si avvertono naturalmente una serie di non impercettibili varianti, al di là di tutte le conseguenze determinate dall’impiego o meno del colore e da un formato sensibilmente mutato. Diversa è per esempio, in effetti, la tecnica di raffigurazione dei pur sintetici profili urbani, nell’incisione con un più accentuato punto di vista a volo d’uccello, che costringe pertanto a qualche maggiore assonometria e insieme all’impiego di convenzionali stereotipi. Differente altresì la scala prescelta, di dieci miglia “italiane” nel disegno, di cinque, ugualmente “italiane”, nel foglio a stampa; qualche maggiore specificazione nell’incisione, com’è intuibile, per quanto riguarda le iscrizioni disposte lungo i contorni del territorio berico. Prevalgono però le assonanze. Gli assetti della mappa e dell’incisione sono quasi perfettamente confrontabili, ancorché nella seconda l’attenzione alla resa dello sviluppo orografico del territorio sia limitata entro i confini del territorio provinciale. Le reti di viabilità sono praticamente sormontabili, anche se la mappa distingue, sempre sulla base della legenda, le «strade ruotabili di comunicazione de luoghi» da quelle «solo da Cavalli, e Pedoni»: queste ultime risultano scandite da un tratteggio puntinato, come invece tutte quelle del foglio a stampa. È comune anche quello stesso interesse centripeto per le sotto-articolazioni amministrative del comprensorio, implicite ma evidenti nella pianta, dichiarate, ma su una base diversa da quella che sarebbe stata poi impiegata da Maccà, nell’incisione, che allinea nell’iscrizione sulla sinistra del foglio, sopra il cartiglio con l’indicazione dell’autore, solo quattro “distretti” (Vicenza, Lonigo, Schio, Asiago) con l’attribuzione a ciascuno di altri cantoni di riferimento, a volte con accorpamenti per lo meno bizzarri. Anche la freccia che indica il nord è dislocata in maniera piuttosto simile in entrambi i casi, così come ambedue i fogli presentano, sia pur in una resa attenta delle scansioni del territorio e delle sequenze delle ville, alcuni errori comuni: mi riferisco per esempio al posizionamento dei centri di Oliero, così lontano dall’alveo del Brenta, e di Sacco, similmente lontano da quello dell’Adige. Ciò non basta naturalmente a stabilire una inoppugnabile genealogia di derivazione tra i due disegni, ma è più che sufficiente per fissare la cronologia assoluta del nostro grande foglio, che certamente risulta deciso termine post quem rispetto alle carte ottocentesche, a cominciare da quella del Dipartimento del Bacchiglione di Richard de Rouvre (1810). […] La mappa che pubblichiamo si configura come preziosa testimonianza di una società, e di una fase storica, che si avviava inesorabilmente a conclusione; e la sua impostazione centripeta, che certamente favorisce la resa grafica del foglio, attesta, altresì, la consolidata strategia, nello Stato veneto, di riordinare per quanto possibile l’esistente, la difficoltà crescente a misurarsi con scenari nuovi, troppo ampi e di conseguenza non controllabili, di cui si preferiva rifiutare anche solo la possibilità. È una storia di due secoli fa?Giuseppe Barbieri […] Per poter comprendere il senso di questo grande e intrigante disegno (mm 2000×1000), appena consunto nei bordi destro e superiore, che Gilberto Padovan ha sottoposto alla mia attenzione alcuni mesi fa, chiedendomi di presentarlo per questa moderna, anastatica, edizione è assolutamente necessario – tanto più in un caso come questo, in cui scontiamo l’assenza di esplicite rivendicazioni autoriali e di precisati termini cronologici – inserire quest’immagine in una ordinata sequenza, di segni precedenti e coevi. […] La Novam hanc et accuratissimam Territorii Vicentini descriptionem, la carta che Filippo Pigafetta pubblica nel 1608, rivela una commendevole accuratezza cartografica nella raffigurazione del territorio; e ha inoltre il merito di costituire un pivot alternativo di rappresentazione: l’esito del foglio pigafettiano fissa infatti, in sostanza, ciò che potremmo definire una sorta di canone centripeto di rappresentazione, frutto di un’attenzione ripiegata sui precisi contorni della porzione di Stato veneto soggetta, in forme diverse, mediante cioè podesterie e vicariati, al capoluogo berico: che merita non casualmente, in basso a sinistra, una specifica raffigurazione in un ortogonale cartiglio. Anche la mappa che dobbiamo considerare in questa circostanza riprende ed evidenzia tale canone centripeto. Per cui non risulterà inutile rammentare quali fossero state, dopo la pubblicazione del disegno di Filippo, le successive rappresentazioni del territorio berico da esso derivate. […] La più importante ma in vero pressoché unica ripresa dell’impostazione pigafettiana, nel corso e nel prosieguo del XVII secolo, è certamente Il Territorio Vicentino delineato da Angelo Giovanni Novello e inciso, verso il 1676, dal grande conoscitore veneziano Marco Boschini, impegnato, proprio in quella fase, nel capoluogo berico nella redazione dei Gioieli Pittoreschi, fondamentale guida, per tanti versi, alle pubbliche pitture della città di Vicenza. Poi tuttavia essa riaffiora, e con una certa insistenza, nell’ultimo quarto del XVIII secolo – dopo una lunga sequenza di immagini grandangolari, regionali, a campionare l’intera area dal Garda alla Laguna -, soprattutto in due incisioni che ci conducono ormai, cronologicamente, nei pressi della nostra mappa: si tratta del Disegno topografico del Territorio Vicentino del pubblico perito Giovanni Merlugo e de Il Vicentino con i suoi Vicariati e Podestarie di Giuliano Zuliani. Quest’ultima dicitura – che sottolinea con adeguata evidenza come l’attenzione che abbiamo definito centripeta si concentrasse ormai, nell’ultimo periodo di vita della Repubblica Serenissima, quasi in uno zoom ravvicinato, sulle interne articolazioni amministrative del territorio berico – trova in effetti ampio riscontro nella mappa che qui pubblichiamo: dove, con qualche limitata eccezione, è agevole riconoscervi una precisa insistenza, per esempio nell’impiego del maiuscolo a designare le sedi vicariali o podestarili interne alla provincia. In qualche modo potremmo insomma dire che la nostra mappa appare come una sorta di anticipata epitome grafica della poderosa Storia del territorio vicentino che il padre Gaetano Maccà da Sarcedo pubblica in 14 tomi, a Caldogno, tra 1812 e ’16, nel momento conclusivo del dominio francese sulle terre un tempo spettanti alla Serenissima. Chi volesse leggere la premessa alla sua Storia (concepita originariamente come una Descrizione) potrà cogliere un’attenzione quasi maniacale all’interno stratificarsi del territorio provinciale in unità amministrative periferiche, per le quali vengono raccolte notizie, prime apparizioni archivistiche, compilati minuti stemmi a sancire la reciproca appartenenza ai singoli vicariati delle diverse ville. Sintomatico risulta altresì il lungo riporto di un documento, riferito a un non meglio precisato archivio, in cui vengono dettagliati i confini del comprensorio berico e le distanze dei centri minori dal capoluogo; minuzioso, allo stesso modo, si rivela l’elenco che allinea le due podesterie, i ben quattordici vicariati e ribadisce l’estraneità al Vicentino non solo del bassanese, ma anche della Reggenza dei Sette Comuni. Il che corrisponde a quanto osserviamo nella nostra mappa: dove la scritta che indica la porzione di spettanza dei Sette Comuni risulta in qualche modo separata dal resto del territorio provinciale, e la città di Asiago inscritta in carattere minuscolo rispetto a quello adottato per i centri vicariali o per i maggiori centri contermini. Possiamo entrare ormai in un esame più dettagliato della nostra mappa, un disegno a penna su carta intelata, con colorazioni ad acquerello; un largo segno ocra – giallo nella designazione della legenda in basso a sinistra, legenda che anticipiamo (ma riprenderemo in seguito la questione) di scarsa e problematica pertinenza rispetto alla concreta resa della carta – ritaglia il perimetro dei confini provinciali, e rivela all’interno la maglia fitta delle vie di collegamento, di un giallo meno scurito dal tempo; un blu deciso scandisce i corsi d’acqua, mentre risulta assai più sbiadito nel mostrare le masse dei laghi, in particolare per quello di Caldonazzo, nel contado del Tirolo, o per quello, quasi bianco, di Lavarone; in nero le scritte dei toponimi, in rosso gli schematici accenni ai diversi tessuti urbani, che si limitano nella maggior parte dei casi a un tratto convenzionale, ma senza il ricorso a profili di torri o di campanili. Un cenno specifico merita il contorno del capoluogo, a mezza via tra una veduta a volo d’uccello e una ripresa più aggiornata, zenitale, come quella inaugurata da Gian Domenico Dall’Acqua nella Vicenza del 1711: a conferma della lunga, secolare persistenza, nel codice cartografico, di esiti consacrati, l’impianto di rappresentazione della città non si discosta poi troppo da quello proposto, alla fine del Cinquecento, da Giovanni Antonio Magini, che pure aveva conosciuto, nel corso del XVII sec., alcune significative e aggiornate integrazioni, come per esempio nel Territorio di Vicenza dei fratelli Cornelis e Joan Blaeu. Viceversa, diversamente dai prototipi cinquecenteschi, appare invece di ben più accurata resa il profilo orografico del territorio, anche rispetto ai moduli prescelti da Pigafetta, da Coronelli, da Novello e Boschini, come pure dalla Topografia palladiana che Francesco Muttoni pubblica nel 1739. Si tratta di un indizio sufficientemente eloquente per provare, in prima approssimazione, a datare il foglio in oggetto. Per quanto una capillare esplorazione dei fondi di mappe, in deposito tanto alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza quanto all’Archivio di Stato di Venezia, non abbia consentito di rintracciare altri segni perfettamente confrontabili con questo, ossia una intera serie di mappe che rendesse più chiara la funzione della legenda, e sebbene non risultino in realtà affatto frequenti rappresentazioni manoscritte, prive cioè di un successivo riscontro a stampa, di un intero territorio provinciale, va detto comunque che quelle più pertinentemente confrontabili con la nostra spettano al XVIII sec. […] Rispetto ad altre incisioni, per così dire, ufficiali, questa mappa riporta una serie di lemmi di natura eminentemente, ma non esclusivamente, fiscale. Tale tipo di elementi compaiono in realtà su altri tipi di carte, ma con maggiori e più puntuali specificazioni rispetto alla vasta gamma che rintracciamo nel nostro disegno: così, per esempio, in una circostanza possiamo veder comparire le stazioni di posta, in altre gli appostamenti dei funzionari dei Provveditori alla Sanità, volti a controllare le conseguenze del passaggio su suolo veneto delle truppe imperiali, in altre ancora scorgere tratteggiata con nettezza la linea di confine tra stati nazionali, contrassegnata da un colore rosso, così come dichiara, senza però adempirvi, anche la nostra problematica legenda. In ulteriori circostanze possiamo invece scorgere tratti di strada o porzioni di canale, per sottolineare specifiche esigenze o per confermare gli esiti di interventi di manutenzione. Per tornare a una cartografia meno funzionalmente indirizzata, e cioè ancora di registro, per così dire, ufficiale, un confronto assai più probante è quello che si può stabilire con le due incisioni in rame tardo-settecentesche citate in precedenza, e che riguardano, per l’appunto, il territorio berico. E mentre Il Vicentino diviso ne suoi Vicariati e Podestarie di Pitteri e Zuliani, realizzato per l’Atlante novissimo del libraio editore Antonio Zatta, risente di non lievi imprecisioni nella dislocazione di tutta una serie di toponimi, a cominciare dagli immediati sobborghi del capoluogo, e adotta evidenti stereotipi nei deittici impiegati per indicare i maggiori centri abitati della provincia, il disegno di Giovanni Merlugo – da cui deriva, nel 1775, l’incisione di Domenico Armani – sembra fissare invece un parallelo assolutamente confrontabile con la nostra mappa. Si avvertono naturalmente una serie di non impercettibili varianti, al di là di tutte le conseguenze determinate dall’impiego o meno del colore e da un formato sensibilmente mutato. Diversa è per esempio, in effetti, la tecnica di raffigurazione dei pur sintetici profili urbani, nell’incisione con un più accentuato punto di vista a volo d’uccello, che costringe pertanto a qualche maggiore assonometria e insieme all’impiego di convenzionali stereotipi. Differente altresì la scala prescelta, di dieci miglia “italiane” nel disegno, di cinque, ugualmente “italiane”, nel foglio a stampa; qualche maggiore specificazione nell’incisione, com’è intuibile, per quanto riguarda le iscrizioni disposte lungo i contorni del territorio berico. Prevalgono però le assonanze. Gli assetti della mappa e dell’incisione sono quasi perfettamente confrontabili, ancorché nella seconda l’attenzione alla resa dello sviluppo orografico del territorio sia limitata entro i confini del territorio provinciale. Le reti di viabilità sono praticamente sormontabili, anche se la mappa distingue, sempre sulla base della legenda, le «strade ruotabili di comunicazione de luoghi» da quelle «solo da Cavalli, e Pedoni»: queste ultime risultano scandite da un tratteggio puntinato, come invece tutte quelle del foglio a stampa. È comune anche quello stesso interesse centripeto per le sotto-articolazioni amministrative del comprensorio, implicite ma evidenti nella pianta, dichiarate, ma su una base diversa da quella che sarebbe stata poi impiegata da Maccà, nell’incisione, che allinea nell’iscrizione sulla sinistra del foglio, sopra il cartiglio con l’indicazione dell’autore, solo quattro “distretti” (Vicenza, Lonigo, Schio, Asiago) con l’attribuzione a ciascuno di altri cantoni di riferimento, a volte con accorpamenti per lo meno bizzarri. Anche la freccia che indica il nord è dislocata in maniera piuttosto simile in entrambi i casi, così come ambedue i fogli presentano, sia pur in una resa attenta delle scansioni del territorio e delle sequenze delle ville, alcuni errori comuni: mi riferisco per esempio al posizionamento dei centri di Oliero, così lontano dall’alveo del Brenta, e di Sacco, similmente lontano da quello dell’Adige. Ciò non basta naturalmente a stabilire una inoppugnabile genealogia di derivazione tra i due disegni, ma è più che sufficiente per fissare la cronologia assoluta del nostro grande foglio, che certamente risulta deciso termine post quem rispetto alle carte ottocentesche, a cominciare da quella del Dipartimento del Bacchiglione di Richard de Rouvre (1810). […] La mappa che pubblichiamo si configura come preziosa testimonianza di una società, e di una fase storica, che si avviava inesorabilmente a conclusione; e la sua impostazione centripeta, che certamente favorisce la resa grafica del foglio, attesta, altresì, la consolidata strategia, nello Stato veneto, di riordinare per quanto possibile l’esistente, la difficoltà crescente a misurarsi con scenari nuovi, troppo ampi e di conseguenza non controllabili, di cui si preferiva rifiutare anche solo la possibilità. È una storia di due secoli fa?