Libro: storia dell’iconografia di Bassano del Grappa e 19 vedute di fine secondo millennio

Il volume da collezione, di grande formato,   contiene un testo, tradotto anche in inglese, sulla storia della città e della sua iconografia dal XIV al XXI secolo.

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Bassano nelle stampe d’arte

Giambattista Vinco Da Sesso

Nel 1326 l’incisore Sebastiano Lovison, sollecitato da parecchi appassionati collezionisti; si accinse a disegnare e intagliare alcune vedute di Bassano, cominciando la sua impresa col ritrarre – come lui stesso scriveva – il “maestoso Ponte, opera nuova ed imponente del celebre ingegnere Casarotti”. Nacquero così le famose e fortunate quattro stampe: “due delle quali rappresentano Pinterno ed esterno d’esso Ponte, e Paltre due le amene vicinanze che lo circondano”. Esse documentano il Ponte da poco ricostruito, dopo essere stato distrutto il 2

novembre 1313 dai Francesi per impedire alle truppe austriache d’inseguirli. Nel foglio, diffuso dal Lovison per invitare gli interessati a prenotare le vedute, si legge: “Bassano, per la ridente sua posizione e per la vaghezza ed amenità delle deliziose sue viste, è un oggetto d’ammirazione all’occhio del Forestiere.” In questa frase sono espressi i motivi che costituiscono il fascino di Bassano, singolare città sorta ai piedi di un castello e distesa lungo la Brenta, sullo sfondo d’incantevoli colline e di montagne improvvise. Bassano è, senza dubbio, città – d’arte non perché firmata da un grande urbanista o caratterizzata da edifici progettati da un celebre architetto, come la Vicenza del Palladio, ma perché connotata da un’inconfondibile fisionomia, plasmata dalla storia, dalla convivenza, dall’anima di una gente e capace di conquistare il cuore di chi la vede e di procurare quello che si può definire piacere estetico. A creare questa fisionomia concorrono la trama delle vie che scendono a raggiera dal nucleo originario del Castello, lo spazio inatteso e sorprendente delle sue piazze, il dialogo pacato e confidenziale tra case e palazzi, torri e campanili di epoche diverse, le ombrose sequenze dei portici. il paesaggio intorno e il fiume che, uscito dalla valle, scorre rapido con le sue acque verdi sotto il Ponte e lambisce la città. Dentro la luce illimpidita dalla brezza del Canale di Brenta, Bassano si presenta nello spazio come un organismo unitario e vitale; nella densità della sua storia millenaria funziona come una prodigiosa macchina del tempo. Segni riconoscibili nei luoghi e nei monumenti riportano alla tormentata età medievale, fanno rivivere i secoli pacifici e laboriosi della Serenissima e le successive altre vicende fino ai nostri giorni. Bassano città “oggetto d’ammirazione all’occhio del Forestiere” ad un certo punto della sua esistenza è diventata essa stessa soggetto per le arti, dalla pittura all’incisione. E’ il genius loci, il grande Jacopo dal Ponte, l’artista che per primo sentì con rinnovata coscienza il valore della natura, ad introdurre l’immagine della città natia sullo sfondo di alcuni altissimi suoi capolavori, come la pala d’Angarano o la Pesca miracolosa, oggi alla National Gallery di Washington. Ai due figli Francesco e Leandro, pittori di buon talento, dobbiamo lo straordinario ritratto, disegnato e acquarellato, di Bassano vista a volo d’uccello nella sua consistenza urbanistica tra il 1533 e il 1610 circa. Con senso prospettico e analitica conoscenza della città, i due artisti rappresentarono una veduta fedele alla realtà, per motivo e con destinazione che per noi rimangono misteriosi. Sappiamo solo che essa risultava di proprietà della famiglia Dal Ponte e che venne tramandata fmo ai tardi suoi eredi (1707); non era quindi di proprietà civica né adoperata per uso pubblico, come accadeva invece in altre città dove simili strumenti grafici servivano a scopi urbanistici, fiscali e militari. In questa sede tuttavia non c’interessa l’iconografia bassanese che si è realizzata nelle pitture e nei disegni ma quella che si è tradotta nelle stampe, con le varie tecniche dalla xilografia all’acquaforte, al bulino, alla litografia. C’interessano le stampe di veduta che con riconoscibilità e talvolta con oggettiva precisione riproducono uno scorcio o un panorama della città, un complesso di edifici, un monumento, un aspetto del paesaggio di Bassano. Nella rassegna di tali documenti iconografici è di fondamentale aiuto l’Album bassanese, curato da Bruno Passamani nel 1969, che ne ha messo in luce una quarantina, parecchi dei quali modesti per valore poetico ma tutti preziosi per la conoscenza storica della città. È da dire che molte di queste stampe sono di traduzione, ma le più belle e riuscite sono proprio quelle inventate e disegnate dallo stesso autore, com’è il caso di Sebastiano Lovison o di Marco Moro. In ordine di tempo, la prima incisione che rappresenta Bassano e il suo paesaggio è la Veduta del convento di San Fortunato, attribuita a Francesco Valesio e inserita come frontespizio nel volume Illustrium anachoretarum elogia sive Religiosi viri musoeum, edito a Roma nel 1612. È un’acquaforte deliziosa a cui non dobbiamo chiedere un’esatta descrizione topografica, che non era nell’intenzione dell’opera e nello spirito del tempo, ma l’evocazione di un luogo bassanese propizio alla contemplazione, immerso in un paesaggio dove alcuni elementi realistici (il cenobio, il fiume, il Ponte, il Castello, Ca’ Veggia col suo giardino) si compongono con altri di fantasia. Va sottolineato il fatto che nella maggior parte le vedute bassanesi non nascono come fogli sciolti ma, come quella di cui si è fatto cenno sopra, destinate ad illustrare libri, siano essi d’argomento religioso, tecnico, letterario oppure album, guide, atlanti per i viaggiatori o per i curiosi di viaggi a tavolino. Ancora in funzione illustrativa di un volume, in questo caso Bassano tutto giulivo e festante, per il celebre, e sontuosissimo apparato in occasione del coronarsi pubblicamente l’Immagine della Beata Vergine del Santissimo Rosario, stampato da Remondini nel 1681 – è un’acquaforte anonima con la veduta di Bassano. Sopra la città, troppo ripidamente addossata al colle dominato dal castello, sta sospeso un grande stemma del Comune. È interessante notare che questa stampa apre la serie delle vedute prese dalla riva destra della Brenta, a nord del Ponte, qui raffigurato con quattro improbabili arcate. A Bassano da circa vent’ anni Giovanni Antonio Remondini, fondatore della famosa dinastia di stampatori, aveva avviato una fortunata attività calcografica, che raggiunse il massimo sviluppo intorno alla metà del Settecento, quando erano all’opera ben venti torchi. Venivano prodotte soprattutto stampe di soggetto popolare e devozionale, che un’efficiente rete commerciale distribuiva in tutta Europa. In quel tempo nasceva il vedutismo veneziano con la pubblicazione nel 1703 della fortunatissima raccolta,incisa da Luca Carlevariis ed edita da Giambattista Finazzi, Le Fabriche, e Vedute di Venetia, destinata soprattutto ai “foresti”, che compivano il Grand Tour per motivi educativi e culturali attraverso i vari paesi d’Europa, tra cui principalmente l’Italia. Essi consideravano la veduta non solo come un ricordo dei luoghi visitati ma anche come uno strumento per approfondirne la conoscenza. Il Carlevariis applicava “alla ripresa dei luoghi – realizzata dapprima in situ, magari con l’ausilio della camera ottica – il metodo prospettico, che è presupposto di una visione corretta e coerente. Al tempo stesso egli si avvaleva della prospettiva per trasferire l’immagine urbana sul piano della scenografia, per cui la veduta è insieme documento veridico e “messa in scena della città, considerata uno spettacolo per se stessa” (Adriano Mariuz). Alla luce di quell’importante evento editoriale, viene spontaneo pensare che la calcografia remondiniana dovesse riservare maggiore attenzione al genere della veduta, specialmente per soggetti bassanesi; invece, con nostra sorpresa, troviamo che le vedute dei Remondini dedicate alla città sede della loro impresa, uscite dai tordu dal Seicento all’Ottocento, sono soltanto quattro, di cui due per illustrazione di libri. Nel 1803 il loro catalogo delle vedute per camera ottica ne elencava una di Bassano, di cui però gli studiosi non sono finora riusciti a rintracciare nemmeno un esemplare. La devozione e il prestigio civico indussero Giovanni Antonio Remondini a commissionare nel 1700 all’incisore Alessandro Dalla Via la stampa, dedicata alla città e al popolo di Bassano, con la Processione solenne per la Comunione degli infermi, un rito importante della Confraternita del Santissimo Sacramento, alla quale Giovanni Antonio apparteneva e che aveva nella chiesa di San Giovanni la sua cappella. Dalla Via restituisce con precisione l’aspetto della Piazza all’epoca, ripresa dal lato occidentale e da un punto di vista rialzato per poter meglio raffigurare l’“Ordine della Processione solenne”. Un particolare curioso: le statue del patrono San Bassiano e del Leone di San Marco erano allora collocate sul lato orientale, dove rimasero fino al 1767, quando vennero trasportate sul lato occidentale. Con cura speciale – è ovvio – sono delineate le case dell’editore committente; la facciata della chiesa è ancora quella quattrocentesca, che sarà rifabbricata nella seconda metà del Settecento su progetto del Miazzi. Una modestissima stampa della metà di quel secolo ripropone la Piazza nell’aspetto architettonico fissato dal Dalla Via, cancellando però la processione e ogni altra presenza umana. La Piazza maggiore appare una seconda volta nella storia dell’iconografia incisa bassanese con la litografia (1852) di Marco Moro, che la coglie nella quotidiana realtà del mercato. Tra il 1726 e il 1737 l’erudito, disegnatore e dilettante incisore bassanese Francesco Chiuppani, ch’era entrato in possesso della pianta dapontiana, da questa derivò a bulino una veduta prospettica della città, che fu pubblicata in calce al Bassano di Lorenzo Marucini, ristampato nel 1737 unito alla Vita di San Bassiano di Giacomo Baseggio. La stampa possiede una notevole valenza documentaria, perché aggiorna la pianta dapontiana con le novità edilizie intervenute dopo il 1610, come le chiese dell’Angelo (1655), della Vergine di Caravaggio (1710), del Redentore (1726), di Santa Chiara (1736). Al Ponte è dedicata una delle acquaforti di Filippo Ricci, che corredano il libro di Francesco Memmo Vita e macchine di Bartolomeo Ferracino celebre ingegnere colla storia del Ponte di Bassano dal medesimo rifabbricato, edito dai Remondini nel 1754. Con quest’opera il Memmo voleva difendere la ricostruzione del Ponte condotta dal Ferracina, dopo che una furiosa brentana l’aveva distrutto nel 1748, e fatta bersaglio di aspre critiche dai suoi avversari. Il famoso manufatto ligneo è raffigurato con la struttura rivestita di tavole e il poggiolo sulla campata centrale. Questa incisione, resa con secchezza di tratti, propone per la prima volta come protagonista della veduta il Ponte, che diverrà il tema più trattato nell’iconografia bassanese. Ancora nell’aspetto ferraciniano si mostra il Ponte, con la figura allegorica del Brenta, in una piccola incisione anonima, che si rifà al Ricci e che decora le Rime scelte d’alcuni poeti bassanesi che fiorirono nel sec. XVI. Nuovamente raccolte e delle loro vite arricchite da Giambattista Verci, stampate dal Dorigoni a Venezia nel 1769. La visione panoramica di Bassano, dalla chiesa di San Vito a nord fino alla cinta muraria trecentesca a sud, offrono due stampe di Marco Sebastiano Giampiccoli, una più grande dell’altra, che fanno parte della serie Panorama e Piazza di 20 località venete. La maggiore (dopo il 1776) racchiusa in un’elegante cornice rocaille disegnata da P.A. Novelli, è dedicata dall’autore a Giuseppe Remondini, insit,rnito nel 1776 della contea di Goremburgo. La minore (dopo il 1798) riprende, ma non con pari vivacità e freschezza, lo stesso tema della più grande. Il punto di osservazione sta sulla riva destra del fiume, a nord del Ponte. In primo piano compaiono alcune macchiette: gentiluomini passeggiano o sostano in conversazione, viandanti transitano, mentre nella prima figurina a sinistra il Giampiccoli si è rappresentato intento a ritrarre la città. Sul finire del Settecento, Giannantonio Zuliani deriva da dipinti di Francesco Antonio Canal quattro vedute: una del Margnan, un’altra del Ponte, una terza di Bassano vista dai pressi della chiesa di San Vito, una quarta della, Brenta che scorre a nord della città. In quest’ultima si deve notare una novità del punto di osservazione: mentre di solito Bassano è colta dall’esterno, qui diventa il belvedere da cui si contemplano i dintorni. La veduta della Brenta è presa dal ‘balcone dell’arciprete”, così detto perché apparteneva alla canonica di Santa Maria in Colle allogata nel torrione settentrionale del Castello. Era un punto di vista straordinario, che consentiva un indimenticabile godimento paesaggistico e per questo costituiva una tappa obbligata per i viaggiatori anche stranieri che visitavano la, città. Il Brentari nella sua Guida storico-alpina di Bassano, Sette Comuni, Canale di Brenta, Marostica, Possagno (1885) raccomandava: “Non si abbandoni Bassano senza aver fatta una visita a questo, balcone dell’arciprete, che è senza dubbio il più bel punto di vista di Bassano”. La scena rappresentata è dominata da una lieta atmosfera arcadica, dove ben poco corrisponde alla realtà topografica. Elementi di maggiore verosimiglianza si possono riscontrare nelle tre altre vedute dello Zuliani. Dai dipinti del bassanese Sebastiano Chemin (1756-1812) sono tratte le due acquaforti di Antonio Regona, databili ai prinri anni dell’Ottocento. Presa da valle, quella del Ponte e della città con lo sfondo del Grappa può essere ritenuta il primo esempio di un’inquadratura destinata al successo, fino alle fotografie e alle cartoline d’oggi. Nell’altra con la visione della Brenta a nord osservata dal Ponte, questo non è più l’oggetto visto ma diventa invece il punto di vista, da cui si ammira un lieto paesaggio solcato dal fiume. La zattera, che scende manovrata da due zattieri e che reca a bordo una coppia di viaggiatori, introduce nella veduta una scenetta di vita allora quotidiana. Dal gusto romantico che si andava diffondendo nella letteratura, nelle arti figurative e nel costume è improntata la suggestiva Veduta di Belvedere e Porta di Bassano (fine Settecento), che il bassanese Gaetano Zancon, formatosi nella calcografia remondiniana, riprodusse da un quadro del paesaggista trentino Pietro Marchioretto (1772-1828). Nella tempestosa scena, resa in controparte, scorgiamo due elementi realistici: la Porta delle Grazie con l’annesso Belvedere e, sullo sfondo, il colle di Castellaro. Il piccolo edificio adibito a caffè, ricavato dalla loggia fatta costruire dai podestà veneti all’inizio del Cinquecento, per godere Pincantevole, pittoresco panorama, venne ricordato da George Sand, nella prima delle sue Lettere di un viaggiatore (1834): “Io ti raccomando … il caffè delle Fosse a Bassano, come una delle migliori fortune che possa capitare ad un viaggiatore annoiato dai capolavori classici dell’Italia. A volte basta l’immagine del Ponte a suggerire l’identità di Bassano, come accade in una stampa allegorica, incisa il 2 luglio 1804 nella calcografia dei Remondini in onore e alla presenza del fratello dell’imperatore Francesco II d’Austria, l’arciduca Giovanni in visita alla città. Altrettanto avviene in una stampina di F.L. Couché che ricorda la famosa battaglia di Bassano combattuta e vinta contro gli Austriaci dai Francesi, 1’8 settembre 1796. Il 2 novembre 1813, come si è già accennato, il viceré Eugenio Beauharnais ordinò ai suoi soldati di bruciare il Ponte per impedire agli Austriaci di inseguirli. Dalla distruzione passarono ben sei anni prima che si iniziassero i lavori di ricostruzione, compiuti poi nel 1821, secondo il progetto dell’ingegnere Angelo Casarotti, che restituiva al Ponte la forma palladiana. Il nuovo aspetto è testimoniato da una vedutina (dopo il 1821), resa con romantica freschezza e con fedeltà al vero, dal bassanese Antonio Conte su disegno del Müller. La stessa forma del Ponte allora ricostruito compare in un’altra piccola stampa (dopo il 1821) di anonimo, ricca di effetti chiaroscurali. Il momento solenne dell’inaugurazione del celebre manufatto ligneo è ricordato da una delle quattro stampe di Sebastiano Lovison, del quale si è fatto cenno all’inizio. Con questo incisore, che ama inserire nel contesto urbano e paesistico la presenza quotidiana dell’uomo, la veduta bassanese raggiunge la sua migliore espressione. Per lui il Ponte è un luogo d’incontri e nello stesso tempo un balcone da cui ci si affaccia per ammirare il magnifico panorama. Accolte con molto successo, le quattro stampe lavorate a bulino vennero innumerevoli volte replicate e furono anche imitate, fatto questo che ne attesta ulteriormente la fortuna. In quegli anni, ad esempio, Domenico Lapdini le riprese puntualmente, solo apportando variazioni nei gruppi di figure. Per l’opera Di alcuni principali edifici e situazioni delle province venete, edite a Padova nel 1828, Pietro Chevalier disegnò e incise la Veduta del Ponte di Bassano, conferendo all’inquadratura ormai canonica, presa da valle, un’interpretazione personale: il punto di vista è posto a livello delle acque del fiume e tutto è avvolto da un’insolita vibrazione luminosa. Nella prima metà dell’Ottocento continuò e si accentuò la produzione di vedute da inserire in album, guide, atlanti che incontravano il gusto di chi voleva conoscere luoghi diversi. E tra questi luoghi figurava anche Bassano. Per un libro di viaggio Illustrazioni dei Passi delle Alpi con cui l’Italia comunica con la Francia, la Svizzera e la Germania, edito a Londra nel 1838, l’incisore inglese Edward Francis Finden eseguì una tavola, da un disegno di W.Brockedon, con la veduta di Bassano, colta in controluce nell’ora del tramonto, come appariva nei pressi di Pove al viaggiatore che scendeva dal Canale di Brenta. Un altro artista inglese Willemore James Tibbits per un libr,o di vedute italiane ritrasse, da un disegno del Brockedon, in una nitida acquaforte il Castello e la sottostante contrada Pusterla, con i suoi molini, da un punto di vista situato poco più a nord del Ponte. La scena è ravvivata da gustose macchiette di lavandaie e pescatori. Un’atmosfera romantica spira dalle due vedute derivate da dipinti di H.Lauterbach e incise da William French alla metà dell’Ottocento: La Valsugana-Bassano, presa dal ‘balcone dell’arciprete’, e Molini sulla Brenta e Castello di Bassano, visti dalla riva destra a nord del Ponte. Per l’Atlante illustrativo che corredava la Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole (1845) di Attilio Zuccagno Orlandini, il toscano Francesco Corsi intagliò una veduta del Ponte, ripresa quasi puntualmente dalla stampa (1828) dello stesso soggetto prodotta dallo Chevalier. Nel 1852 usciva a Venezia l’album Vicenza e la sua Provincia disegnate in tavole litografiche a due tinte da Marco Moro e brevemente illustrate da Francesco Zanotto. Quattro di quelle tavole illustrano i quattro luoghi e monumenti più significativi per rappresentare la città al “forestiere”: il Castello, il Ponte, la Brenta e Piazza San Giovanni (quest’ultima già una volta ritratta dal Dalla Via). Marco Moro descrive con molta abilità le architetture e il paesaggio e vivacizza la scena con la presenza di macchiette. Il tedesco Adolf Closs, uno dei migliori xilografi vedutisti del suo tempo, illustrò per il libro Italia. Un’escursione dalle Alpi all’Etna (1876) Bassano con una veduta disegnata da G. Bauernfeind. Vi appare il nucleo più antico della città: il Castello e la chiesa di Santa Maria in Colle. Sullo sfondo s’innalza l’esile campanile della cappella Mares, presso Ca’ Erizzo, da poco costruito. Nel 1841 veniva ristampata a Venezia la Storia degli Ecelini del Verci, illustrata da un’acquaforte di anonimo che malamente ricalcava, la veduta del Ponte di Lovison. Alla metà dell’Ottocento Francesco Franceschini, discepolo dello Zuliani, incise a bulino il Ponte di Bassano sul fiume Brenta, quasi certamente desunto dalle vedute dello Chevalier, senza però rinnovarne la grazia. Con queste esecuzioni povere di vigore e di originalità si inaridì la secolare tradizione incisoria, che pur aveva saputo rappresentare e documentare in modo significativo l’immagine e la storia di Bassano e del suo paesaggio. A soppiantare il ruolo delle stampe vedutistiche intervenne la fotografia che dalla metà dell’Ottocento fu sempre più usata a scopo documentario e illustrativo. Accadde anche a Bassano, per opera di quello straordinario pioniere nel campo fotografico che fu Andrea Fasoli (1831-1904). Se oggi vogliamo vedere la città com’era intorno alla metà dell’Ottocento, dobbiamo ricorrere alla sua raccolta di 39 riprese conservata al Museo Civico di Bassano. Con dicitura autografa del Fasoli essa è intitolata Primi esperimenti con obiettivo semplice e camera di mia fabbricazione, come pure la carta cerata e albuminata. I preparati chimici quasi tutti fabbricati da me. E in copertina reca: Negative in carta cerata. 1853. Fotografia e stampa d’arte non più in concorrenza e rivalità ma in perfetta collaborazione s’incontrano nelle 19 vedute dell’importante e originale Collezione Bassanese – che qui presentiamo- realizzata dalI’editore vicentino Gilberto Padovan e dal pittore e disegnatore, pure vicentino, Guido Albanello, non nuovi a simili imprese avendo già atteso dal 1990 al, 1998 alla splendida Collezione Vicentina formata da 36 stampe. Nella fase preparatoria della Collezione Bassanese, che è durata dal 1996 al 1998, Gilberto Padovan si è profondamente documentato sulla città del Grappa; poi l’ha osservata dall’alto e a più riprese fotografata a volo d’uccello. Assumendo quasi il ruolo dell’’inventore’ nelle antiche stampe, Padovan ha fornito, scegliendo soggetti e inquadrature, il materiale che è servito ad Albanello , paziente e preciso come un miniatore, per disegnare a china cinque vedute pubblicate nel 1998, sette nel 1999 e altre sette nel 2000. Su carta Favini, prodotta con apposita formula, l’opera inventata, dall’editore e disegnata dall’artista è stata nitidamente impressa dall’Opificio Grafico Veneto di Vicenza. Finora mai nella storia dell’iconografia bassanese si era potuto ammirare una serie così cospicua di stampe vedutistiche. Al massimo, Zuliani e Lovison, come s’è visto, hanno inciso quattro vedute ciascuno dei luoghi canonici. Padovan e Albanello hanno il merito di non essersi accontentati di questi luoghi, ma di aver recuperato all’attenzione e al godimento, prima di tutto dei bassanesi e poi degli amatori di stampe e di Bassano, altri scorci e monumenti meno noti ma non meno carichi di storia e di suggestione. Con precisione e sicurezza, senza lasciare nulla al caso, Albanello, tracciando segni fittissimi e sottili, ottiene un tessuto grafico di una morbidezza quasi palpabile, in particolare nella resa della vegetazione presente più d’una volta nelle scene. La città disegnata dall’artista è quella ferma, delle architetture o delle strade e delle piazze, non quella in movimento, della folla e delle automobili. In qualche veduta le poche figurine di gente qualunque suggeriscono un senso della città a misura d’uomo e sono lì a dirci che dietro quelle facciate, dentro quelle case si vive. In alcuni casi ci sono gli alberi e i fiori a darci il senso delle stagioni, più spesso sono invece gli intonaci corrosi a rivelarci lo scorrere del tempo. L’impegno che Albanello mette nella resa dell’insieme e dei dettagli conferisce alla stampa un valore storico. Essa diventa un documento in bianco e nero della situazione urbanistica e architettonica, nel preciso momento in cui è stata disegnata dall’artista. La riprova sta nel fatto che un edificio del “borghetto” di Angarano, ripreso da Albanello appena qualche anno fa, ha già cambiato volto per il restauro effettuato nel frattempo. Oppure si può verificare come qualcosa di mobile, ad esempio l’edicola presso la chiesa di San Francesco un tempo collocata nel luogo fissato da Albanello, ora è già spostato. L’arredo urbano spesso ingombrante – fatto di semafori, fili elettrici, cartelli indicatori – è cancellato, quasi fosse un intralcio alla visione nitida e pura della città. Nitore e purezza dominano la realtà raffigurata e quest’effetto è spesso ottenuto dall’artista con l’uso di una luce non fenomenica ma quasi metafisica. La stampa vedutistica, come ogni opera d’arte, non è il risultato di un’operazione meccanica ma il frutto dell’intelligenza e della creatività dell’artista. Ciò che noi vediamo nella Collezione Bassanese è un’idea della città come luogo dove ogni pietra è un brano di storia, ha un suo significato, mostra una sua bellezza, possiede una sua dignità. Un luogo dunque da amare e consapevolmente rispettare.Nel 1326 l’incisore Sebastiano Lovison, sollecitato da parecchi appassionati collezionisti; si accinse a disegnare e intagliare alcune vedute di Bassano, cominciando la sua impresa col ritrarre – come lui stesso scriveva – il “maestoso Ponte, opera nuova ed imponente del celebre ingegnere Casarotti”. Nacquero così le famose e fortunate quattro stampe: “due delle quali rappresentano Pinterno ed esterno d’esso Ponte, e Paltre due le amene vicinanze che lo circondano”. Esse documentano il Ponte da poco ricostruito, dopo essere stato distrutto il 2 novembre 1313 dai Francesi per impedire alle truppe austriache d’inseguirli. Nel foglio, diffuso dal Lovison per invitare gli interessati a prenotare le vedute, si legge: “Bassano, per la ridente sua posizione e per la vaghezza ed amenità delle deliziose sue viste, è un oggetto d’ammirazione all’occhio del Forestiere.” In questa frase sono espressi i motivi che costituiscono il fascino di Bassano, singolare città sorta ai piedi di un castello e distesa lungo la Brenta, sullo sfondo d’incantevoli colline e di montagne improvvise. Bassano è, senza dubbio, città – d’arte non perché firmata da un grande urbanista o caratterizzata da edifici progettati da un celebre architetto, come la Vicenza del Palladio, ma perché connotata da un’inconfondibile fisionomia, plasmata dalla storia, dalla convivenza, dall’anima di una gente e capace di conquistare il cuore di chi la vede e di procurare quello che si può definire piacere estetico. A creare questa fisionomia concorrono la trama delle vie che scendono a raggiera dal nucleo originario del Castello, lo spazio inatteso e sorprendente delle sue piazze, il dialogo pacato e confidenziale tra case e palazzi, torri e campanili di epoche diverse, le ombrose sequenze dei portici. il paesaggio intorno e il fiume che, uscito dalla valle, scorre rapido con le sue acque verdi sotto il Ponte e lambisce la città. Dentro la luce illimpidita dalla brezza del Canale di Brenta, Bassano si presenta nello spazio come un organismo unitario e vitale; nella densità della sua storia millenaria funziona come una prodigiosa macchina del tempo. Segni riconoscibili nei luoghi e nei monumenti riportano alla tormentata età medievale, fanno rivivere i secoli pacifici e laboriosi della Serenissima e le successive altre vicende fino ai nostri giorni. Bassano città “oggetto d’ammirazione all’occhio del Forestiere” ad un certo punto della sua esistenza è diventata essa stessa soggetto per le arti, dalla pittura all’incisione. E’ il genius loci, il grande Jacopo dal Ponte, l’artista che per primo sentì con rinnovata coscienza il valore della natura, ad introdurre l’immagine della città natia sullo sfondo di alcuni altissimi suoi capolavori, come la pala d’Angarano o la Pesca miracolosa, oggi alla National Gallery di Washington. Ai due figli Francesco e Leandro, pittori di buon talento, dobbiamo lo straordinario ritratto, disegnato e acquarellato, di Bassano vista a volo d’uccello nella sua consistenza urbanistica tra il 1533 e il 1610 circa. Con senso prospettico e analitica conoscenza della città, i due artisti rappresentarono una veduta fedele alla realtà, per motivo e con destinazione che per noi rimangono misteriosi. Sappiamo solo che essa risultava di proprietà della famiglia Dal Ponte e che venne tramandata fmo ai tardi suoi eredi (1707); non era quindi di proprietà civica né adoperata per uso pubblico, come accadeva invece in altre città dove simili strumenti grafici servivano a scopi urbanistici, fiscali e militari. In questa sede tuttavia non c’interessa l’iconografia bassanese che si è realizzata nelle pitture e nei disegni ma quella che si è tradotta nelle stampe, con le varie tecniche dalla xilografia all’acquaforte, al bulino, alla litografia. C’interessano le stampe di veduta che con riconoscibilità e talvolta con oggettiva precisione riproducono uno scorcio o un panorama della città, un complesso di edifici, un monumento, un aspetto del paesaggio di Bassano. Nella rassegna di tali documenti iconografici è di fondamentale aiuto l’Album bassanese, curato da Bruno Passamani nel 1969, che ne ha messo in luce una quarantina, parecchi dei quali modesti per valore poetico ma tutti preziosi per la conoscenza storica della città. È da dire che molte di queste stampe sono di traduzione, ma le più belle e riuscite sono proprio quelle inventate e disegnate dallo stesso autore, com’è il caso di Sebastiano Lovison o di Marco Moro. In ordine di tempo, la prima incisione che rappresenta Bassano e il suo paesaggio è la Veduta del convento di San Fortunato, attribuita a Francesco Valesio e inserita come frontespizio nel volume Illustrium anachoretarum elogia sive Religiosi viri musoeum, edito a Roma nel 1612. È un’acquaforte deliziosa a cui non dobbiamo chiedere un’esatta descrizione topografica, che non era nell’intenzione dell’opera e nello spirito del tempo, ma l’evocazione di un luogo bassanese propizio alla contemplazione, immerso in un paesaggio dove alcuni elementi realistici (il cenobio, il fiume, il Ponte, il Castello, Ca’ Veggia col suo giardino) si compongono con altri di fantasia. Va sottolineato il fatto che nella maggior parte le vedute bassanesi non nascono come fogli sciolti ma, come quella di cui si è fatto cenno sopra, destinate ad illustrare libri, siano essi d’argomento religioso, tecnico, letterario oppure album, guide, atlanti per i viaggiatori o per i curiosi di viaggi a tavolino. Ancora in funzione illustrativa di un volume, in questo caso Bassano tutto giulivo e festante, per il celebre, e sontuosissimo apparato in occasione del coronarsi pubblicamente l’Immagine della Beata Vergine del Santissimo Rosario, stampato da Remondini nel 1681 – è un’acquaforte anonima con la veduta di Bassano. Sopra la città, troppo ripidamente addossata al colle dominato dal castello, sta sospeso un grande stemma del Comune. È interessante notare che questa stampa apre la serie delle vedute prese dalla riva destra della Brenta, a nord del Ponte, qui raffigurato con quattro improbabili arcate. A Bassano da circa vent’ anni Giovanni Antonio Remondini, fondatore della famosa dinastia di stampatori, aveva avviato una fortunata attività calcografica, che raggiunse il massimo sviluppo intorno alla metà del Settecento, quando erano all’opera ben venti torchi. Venivano prodotte soprattutto stampe di soggetto popolare e devozionale, che un’efficiente rete commerciale distribuiva in tutta Europa. In quel tempo nasceva il vedutismo veneziano con la pubblicazione nel 1703 della fortunatissima raccolta,incisa da Luca Carlevariis ed edita da Giambattista Finazzi, Le Fabriche, e Vedute di Venetia, destinata soprattutto ai “foresti”, che compivano il Grand Tour per motivi educativi e culturali attraverso i vari paesi d’Europa, tra cui principalmente l’Italia. Essi consideravano la veduta non solo come un ricordo dei luoghi visitati ma anche come uno strumento per approfondirne la conoscenza. Il Carlevariis applicava “alla ripresa dei luoghi – realizzata dapprima in situ, magari con l’ausilio della camera ottica – il metodo prospettico, che è presupposto di una visione corretta e coerente. Al tempo stesso egli si avvaleva della prospettiva per trasferire l’immagine urbana sul piano della scenografia, per cui la veduta è insieme documento veridico e “messa in scena della città, considerata uno spettacolo per se stessa” (Adriano Mariuz). Alla luce di quell’importante evento editoriale, viene spontaneo pensare che la calcografia remondiniana dovesse riservare maggiore attenzione al genere della veduta, specialmente per soggetti bassanesi; invece, con nostra sorpresa, troviamo che le vedute dei Remondini dedicate alla città sede della loro impresa, uscite dai tordu dal Seicento all’Ottocento, sono soltanto quattro, di cui due per illustrazione di libri. Nel 1803 il loro catalogo delle vedute per camera ottica ne elencava una di Bassano, di cui però gli studiosi non sono finora riusciti a rintracciare nemmeno un esemplare. La devozione e il prestigio civico indussero Giovanni Antonio Remondini a commissionare nel 1700 all’incisore Alessandro Dalla Via la stampa, dedicata alla città e al popolo di Bassano, con la Processione solenne per la Comunione degli infermi, un rito importante della Confraternita del Santissimo Sacramento, alla quale Giovanni Antonio apparteneva e che aveva nella chiesa di San Giovanni la sua cappella. Dalla Via restituisce con precisione l’aspetto della Piazza all’epoca, ripresa dal lato occidentale e da un punto di vista rialzato per poter meglio raffigurare l’“Ordine della Processione solenne”. Un particolare curioso: le statue del patrono San Bassiano e del Leone di San Marco erano allora collocate sul lato orientale, dove rimasero fino al 1767, quando vennero trasportate sul lato occidentale. Con cura speciale – è ovvio – sono delineate le case dell’editore committente; la facciata della chiesa è ancora quella quattrocentesca, che sarà rifabbricata nella seconda metà del Settecento su progetto del Miazzi. Una modestissima stampa della metà di quel secolo ripropone la Piazza nell’aspetto architettonico fissato dal Dalla Via, cancellando però la processione e ogni altra presenza umana. La Piazza maggiore appare una seconda volta nella storia dell’iconografia incisa bassanese con la litografia (1852) di Marco Moro, che la coglie nella quotidiana realtà del mercato. Tra il 1726 e il 1737 l’erudito, disegnatore e dilettante incisore bassanese Francesco Chiuppani, ch’era entrato in possesso della pianta dapontiana, da questa derivò a bulino una veduta prospettica della città, che fu pubblicata in calce al Bassano di Lorenzo Marucini, ristampato nel 1737 unito alla Vita di San Bassiano di Giacomo Baseggio. La stampa possiede una notevole valenza documentaria, perché aggiorna la pianta dapontiana con le novità edilizie intervenute dopo il 1610, come le chiese dell’Angelo (1655), della Vergine di Caravaggio (1710), del Redentore (1726), di Santa Chiara (1736). Al Ponte è dedicata una delle acquaforti di Filippo Ricci, che corredano il libro di Francesco Memmo Vita e macchine di Bartolomeo Ferracino celebre ingegnere colla storia del Ponte di Bassano dal medesimo rifabbricato, edito dai Remondini nel 1754. Con quest’opera il Memmo voleva difendere la ricostruzione del Ponte condotta dal Ferracina, dopo che una furiosa brentana l’aveva distrutto nel 1748, e fatta bersaglio di aspre critiche dai suoi avversari. Il famoso manufatto ligneo è raffigurato con la struttura rivestita di tavole e il poggiolo sulla campata centrale. Questa incisione, resa con secchezza di tratti, propone per la prima volta come protagonista della veduta il Ponte, che diverrà il tema più trattato nell’iconografia bassanese. Ancora nell’aspetto ferraciniano si mostra il Ponte, con la figura allegorica del Brenta, in una piccola incisione anonima, che si rifà al Ricci e che decora le Rime scelte d’alcuni poeti bassanesi che fiorirono nel sec. XVI. Nuovamente raccolte e delle loro vite arricchite da Giambattista Verci, stampate dal Dorigoni a Venezia nel 1769. La visione panoramica di Bassano, dalla chiesa di San Vito a nord fino alla cinta muraria trecentesca a sud, offrono due stampe di Marco Sebastiano Giampiccoli, una più grande dell’altra, che fanno parte della serie Panorama e Piazza di 20 località venete. La maggiore (dopo il 1776) racchiusa in un’elegante cornice rocaille disegnata da P.A. Novelli, è dedicata dall’autore a Giuseppe Remondini, insit,rnito nel 1776 della contea di Goremburgo. La minore (dopo il 1798) riprende, ma non con pari vivacità e freschezza, lo stesso tema della più grande. Il punto di osservazione sta sulla riva destra del fiume, a nord del Ponte. In primo piano compaiono alcune macchiette: gentiluomini passeggiano o sostano in conversazione, viandanti transitano, mentre nella prima figurina a sinistra il Giampiccoli si è rappresentato intento a ritrarre la città. Sul finire del Settecento, Giannantonio Zuliani deriva da dipinti di Francesco Antonio Canal quattro vedute: una del Margnan, un’altra del Ponte, una terza di Bassano vista dai pressi della chiesa di San Vito, una quarta della, Brenta che scorre a nord della città. In quest’ultima si deve notare una novità del punto di osservazione: mentre di solito Bassano è colta dall’esterno, qui diventa il belvedere da cui si contemplano i dintorni. La veduta della Brenta è presa dal ‘balcone dell’arciprete”, così detto perché apparteneva alla canonica di Santa Maria in Colle allogata nel torrione settentrionale del Castello. Era un punto di vista straordinario, che consentiva un indimenticabile godimento paesaggistico e per questo costituiva una tappa obbligata per i viaggiatori anche stranieri che visitavano la, città. Il Brentari nella sua Guida storico-alpina di Bassano, Sette Comuni, Canale di Brenta, Marostica, Possagno (1885) raccomandava: “Non si abbandoni Bassano senza aver fatta una visita a questo, balcone dell’arciprete, che è senza dubbio il più bel punto di vista di Bassano”. La scena rappresentata è dominata da una lieta atmosfera arcadica, dove ben poco corrisponde alla realtà topografica. Elementi di maggiore verosimiglianza si possono riscontrare nelle tre altre vedute dello Zuliani. Dai dipinti del bassanese Sebastiano Chemin (1756-1812) sono tratte le due acquaforti di Antonio Regona, databili ai prinri anni dell’Ottocento. Presa da valle, quella del Ponte e della città con lo sfondo del Grappa può essere ritenuta il primo esempio di un’inquadratura destinata al successo, fino alle fotografie e alle cartoline d’oggi. Nell’altra con la visione della Brenta a nord osservata dal Ponte, questo non è più l’oggetto visto ma diventa invece il punto di vista, da cui si ammira un lieto paesaggio solcato dal fiume. La zattera, che scende manovrata da due zattieri e che reca a bordo una coppia di viaggiatori, introduce nella veduta una scenetta di vita allora quotidiana. Dal gusto romantico che si andava diffondendo nella letteratura, nelle arti figurative e nel costume è improntata la suggestiva Veduta di Belvedere e Porta di Bassano (fine Settecento), che il bassanese Gaetano Zancon, formatosi nella calcografia remondiniana, riprodusse da un quadro del paesaggista trentino Pietro Marchioretto (1772-1828). Nella tempestosa scena, resa in controparte, scorgiamo due elementi realistici: la Porta delle Grazie con l’annesso Belvedere e, sullo sfondo, il colle di Castellaro. Il piccolo edificio adibito a caffè, ricavato dalla loggia fatta costruire dai podestà veneti all’inizio del Cinquecento, per godere Pincantevole, pittoresco panorama, venne ricordato da George Sand, nella prima delle sue Lettere di un viaggiatore (1834): “Io ti raccomando … il caffè delle Fosse a Bassano, come una delle migliori fortune che possa capitare ad un viaggiatore annoiato dai capolavori classici dell’Italia. A volte basta l’immagine del Ponte a suggerire l’identità di Bassano, come accade in una stampa allegorica, incisa il 2 luglio 1804 nella calcografia dei Remondini in onore e alla presenza del fratello dell’imperatore Francesco II d’Austria, l’arciduca Giovanni in visita alla città. Altrettanto avviene in una stampina di F.L. Couché che ricorda la famosa battaglia di Bassano combattuta e vinta contro gli Austriaci dai Francesi, 1’8 settembre 1796. Il 2 novembre 1813, come si è già accennato, il viceré Eugenio Beauharnais ordinò ai suoi soldati di bruciare il Ponte per impedire agli Austriaci di inseguirli. Dalla distruzione passarono ben sei anni prima che si iniziassero i lavori di ricostruzione, compiuti poi nel 1821, secondo il progetto dell’ingegnere Angelo Casarotti, che restituiva al Ponte la forma palladiana. Il nuovo aspetto è testimoniato da una vedutina (dopo il 1821), resa con romantica freschezza e con fedeltà al vero, dal bassanese Antonio Conte su disegno del Müller. La stessa forma del Ponte allora ricostruito compare in un’altra piccola stampa (dopo il 1821) di anonimo, ricca di effetti chiaroscurali. Il momento solenne dell’inaugurazione del celebre manufatto ligneo è ricordato da una delle quattro stampe di Sebastiano Lovison, del quale si è fatto cenno all’inizio. Con questo incisore, che ama inserire nel contesto urbano e paesistico la presenza quotidiana dell’uomo, la veduta bassanese raggiunge la sua migliore espressione. Per lui il Ponte è un luogo d’incontri e nello stesso tempo un balcone da cui ci si affaccia per ammirare il magnifico panorama. Accolte con molto successo, le quattro stampe lavorate a bulino vennero innumerevoli volte replicate e furono anche imitate, fatto questo che ne attesta ulteriormente la fortuna. In quegli anni, ad esempio, Domenico Lapdini le riprese puntualmente, solo apportando variazioni nei gruppi di figure. Per l’opera Di alcuni principali edifici e situazioni delle province venete, edite a Padova nel 1828, Pietro Chevalier disegnò e incise la Veduta del Ponte di Bassano, conferendo all’inquadratura ormai canonica, presa da valle, un’interpretazione personale: il punto di vista è posto a livello delle acque del fiume e tutto è avvolto da un’insolita vibrazione luminosa. Nella prima metà dell’Ottocento continuò e si accentuò la produzione di vedute da inserire in album, guide, atlanti che incontravano il gusto di chi voleva conoscere luoghi diversi. E tra questi luoghi figurava anche Bassano. Per un libro di viaggio Illustrazioni dei Passi delle Alpi con cui l’Italia comunica con la Francia, la Svizzera e la Germania, edito a Londra nel 1838, l’incisore inglese Edward Francis Finden eseguì una tavola, da un disegno di W.Brockedon, con la veduta di Bassano, colta in controluce nell’ora del tramonto, come appariva nei pressi di Pove al viaggiatore che scendeva dal Canale di Brenta. Un altro artista inglese Willemore James Tibbits per un libr,o di vedute italiane ritrasse, da un disegno del Brockedon, in una nitida acquaforte il Castello e la sottostante contrada Pusterla, con i suoi molini, da un punto di vista situato poco più a nord del Ponte. La scena è ravvivata da gustose macchiette di lavandaie e pescatori. Un’atmosfera romantica spira dalle due vedute derivate da dipinti di H.Lauterbach e incise da William French alla metà dell’Ottocento: La Valsugana-Bassano, presa dal ‘balcone dell’arciprete’, e Molini sulla Brenta e Castello di Bassano, visti dalla riva destra a nord del Ponte. Per l’Atlante illustrativo che corredava la Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole (1845) di Attilio Zuccagno Orlandini, il toscano Francesco Corsi intagliò una veduta del Ponte, ripresa quasi puntualmente dalla stampa (1828) dello stesso soggetto prodotta dallo Chevalier. Nel 1852 usciva a Venezia l’album Vicenza e la sua Provincia disegnate in tavole litografiche a due tinte da Marco Moro e brevemente illustrate da Francesco Zanotto. Quattro di quelle tavole illustrano i quattro luoghi e monumenti più significativi per rappresentare la città al “forestiere”: il Castello, il Ponte, la Brenta e Piazza San Giovanni (quest’ultima già una volta ritratta dal Dalla Via). Marco Moro descrive con molta abilità le architetture e il paesaggio e vivacizza la scena con la presenza di macchiette. Il tedesco Adolf Closs, uno dei migliori xilografi vedutisti del suo tempo, illustrò per il libro Italia. Un’escursione dalle Alpi all’Etna (1876) Bassano con una veduta disegnata da G. Bauernfeind. Vi appare il nucleo più antico della città: il Castello e la chiesa di Santa Maria in Colle. Sullo sfondo s’innalza l’esile campanile della cappella Mares, presso Ca’ Erizzo, da poco costruito. Nel 1841 veniva ristampata a Venezia la Storia degli Ecelini del Verci, illustrata da un’acquaforte di anonimo che malamente ricalcava, la veduta del Ponte di Lovison. Alla metà dell’Ottocento Francesco Franceschini, discepolo dello Zuliani, incise a bulino il Ponte di Bassano sul fiume Brenta, quasi certamente desunto dalle vedute dello Chevalier, senza però rinnovarne la grazia. Con queste esecuzioni povere di vigore e di originalità si inaridì la secolare tradizione incisoria, che pur aveva saputo rappresentare e documentare in modo significativo l’immagine e la storia di Bassano e del suo paesaggio. A soppiantare il ruolo delle stampe vedutistiche intervenne la fotografia che dalla metà dell’Ottocento fu sempre più usata a scopo documentario e illustrativo. Accadde anche a Bassano, per opera di quello straordinario pioniere nel campo fotografico che fu Andrea Fasoli (1831-1904). Se oggi vogliamo vedere la città com’era intorno alla metà dell’Ottocento, dobbiamo ricorrere alla sua raccolta di 39 riprese conservata al Museo Civico di Bassano. Con dicitura autografa del Fasoli essa è intitolata Primi esperimenti con obiettivo semplice e camera di mia fabbricazione, come pure la carta cerata e albuminata. I preparati chimici quasi tutti fabbricati da me. E in copertina reca: Negative in carta cerata. 1853. Fotografia e stampa d’arte non più in concorrenza e rivalità ma in perfetta collaborazione s’incontrano nelle 19 vedute dell’importante e originale Collezione Bassanese – che qui presentiamo- realizzata dalI’editore vicentino Gilberto Padovan e dal pittore e disegnatore, pure vicentino, Guido Albanello, non nuovi a simili imprese avendo già atteso dal 1990 al, 1998 alla splendida Collezione Vicentina formata da 36 stampe. Nella fase preparatoria della Collezione Bassanese, che è durata dal 1996 al 1998, Gilberto Padovan si è profondamente documentato sulla città del Grappa; poi l’ha osservata dall’alto e a più riprese fotografata a volo d’uccello. Assumendo quasi il ruolo dell’’inventore’ nelle antiche stampe, Padovan ha fornito, scegliendo soggetti e inquadrature, il materiale che è servito ad Albanello , paziente e preciso come un miniatore, per disegnare a china cinque vedute pubblicate nel 1998, sette nel 1999 e altre sette nel 2000. Su carta Favini, prodotta con apposita formula, l’opera inventata, dall’editore e disegnata dall’artista è stata nitidamente impressa dall’Opificio Grafico Veneto di Vicenza. Finora mai nella storia dell’iconografia bassanese si era potuto ammirare una serie così cospicua di stampe vedutistiche. Al massimo, Zuliani e Lovison, come s’è visto, hanno inciso quattro vedute ciascuno dei luoghi canonici. Padovan e Albanello hanno il merito di non essersi accontentati di questi luoghi, ma di aver recuperato all’attenzione e al godimento, prima di tutto dei bassanesi e poi degli amatori di stampe e di Bassano, altri scorci e monumenti meno noti ma non meno carichi di storia e di suggestione. Con precisione e sicurezza, senza lasciare nulla al caso, Albanello, tracciando segni fittissimi e sottili, ottiene un tessuto grafico di una morbidezza quasi palpabile, in particolare nella resa della vegetazione presente più d’una volta nelle scene. La città disegnata dall’artista è quella ferma, delle architetture o delle strade e delle piazze, non quella in movimento, della folla e delle automobili. In qualche veduta le poche figurine di gente qualunque suggeriscono un senso della città a misura d’uomo e sono lì a dirci che dietro quelle facciate, dentro quelle case si vive. In alcuni casi ci sono gli alberi e i fiori a darci il senso delle stagioni, più spesso sono invece gli intonaci corrosi a rivelarci lo scorrere del tempo. L’impegno che Albanello mette nella resa dell’insieme e dei dettagli conferisce alla stampa un valore storico. Essa diventa un documento in bianco e nero della situazione urbanistica e architettonica, nel preciso momento in cui è stata disegnata dall’artista. La riprova sta nel fatto che un edificio del “borghetto” di Angarano, ripreso da Albanello appena qualche anno fa, ha già cambiato volto per il restauro effettuato nel frattempo. Oppure si può verificare come qualcosa di mobile, ad esempio l’edicola presso la chiesa di San Francesco un tempo collocata nel luogo fissato da Albanello, ora è già spostato. L’arredo urbano spesso ingombrante – fatto di semafori, fili elettrici, cartelli indicatori – è cancellato, quasi fosse un intralcio alla visione nitida e pura della città. Nitore e purezza dominano la realtà raffigurata e quest’effetto è spesso ottenuto dall’artista con l’uso di una luce non fenomenica ma quasi metafisica. La stampa vedutistica, come ogni opera d’arte, non è il risultato di un’operazione meccanica ma il frutto dell’intelligenza e della creatività dell’artista. Ciò che noi vediamo nella Collezione Bassanese è un’idea della città come luogo dove ogni pietra è un brano di storia, ha un suo significato, mostra una sua bellezza, possiede una sua dignità. Un luogo dunque da amare e consapevolmente rispettare.